Concetto Temporale / DIOro / Assurdo


Raccontato dall'autore

 

I concetti sono tanti, milioni di milioni come le stelle di Nerone

Tengo a precisare, prima di entrare nel merito di questo lavoro, che sempre da un manufatto di cotone fiorentino, realizzato da mia mamma tanti anni fa, si tratta. Il Tempo è visto come una variabile della vita stessa che ciascuno di noi ha e vive - beneficia e consuma a suo piacere -, per questo non può e non deve avere una accezione definita, nel senso di misurabile. Il Tempo non è una cosa, non per come la intendo io quando parlo del Tempo all'interno di un fare artistico-creativo, ma fosse anche in senso filosofico. Qui, lo storicismo, come dato unico e certo – che poi non è sempre così -, non conta.
In questi lavori ho voluto sottolineare come il Tempo si può gestire, fermare, valorizzare e considerare come altro che non sia un mero passare di ore, di giorni e di anni. Infatti, come ho più volte detto, in questo caso – i miei lavori - il Tempo ritorna oggetto e, in quanto oggetto ancora vivo e quindi ancora protagonista – di cultura -, assurge al rango di soggetto e, in questo suo elevarsi di rango, si trasforma, anche, in una entità spirituale intesa come costante imprescindibile dell'io che lo governa; l'io dell'artista e l'io di chi si sofferma per considerarlo soggettivamente come altro. All'interno di questo assunto si può concludere che la soggettività del considerare il Tempo come una entità variabile, assurge alla definitiva conclusione per mezzo della quale il mio io smette di esistere in quanto solo mio – per questo sono qui a raccontarmi – per diventare un io assoluto, l'io di tutti noi, di voi che mi leggete e seguite. La soggettività lascia, a questo punto, il passo a una oggettività più universale “imposta” dal suo ideatore, dal suo pensatore, dal suo creatore: l'Artista.
Questo lavoro “ Concetto Temporale / DIOro / Assurdo” conclude la serie prodotta dal 2022 al 2024 che per un intero anno, e poco più, ha cercato di affrontare il Tempo come soggetto. Sì, come soggetto, mai come oggetto che non potrebbe mai essere se non in linea di un principio meramente statico e concluso. Il Tempo che passa, il Tempo che resta e il Tempo che si trasforma in altro. Solo come soggetto primario il Tempo va analizzato e considerato. Come oggetto, invece, tutto questo non starebbe in piedi, ci troveremmo davanti ad una inamovibilità temporale passiva, mai concettualmente ideale – verrebbe meno il concetto di trascendenza -, che non varrebbe nemmeno la pena di considerare in quanto soggetto a continue interpretazioni arbitrarie e, magari, non sempre utili; per questo solo oggetto.
Per concludere, siamo davanti a un oggetto che, solo se lasciato libero di muoversi all'interno di una soggettività arbitraria – ideale o creativa che sia - può concretizzarsi e declinarsi in altro, ma non è così per questo specifico oggetto-soggetto che è il mio personale centrino, realizzato da mia madre e trasformato, ora, da me in altro, di mio e solo mio. Voi, ed è quello che io qui desidero, potete, se lo desiderate altrettanto, entrare dentro di me, in senso laico e pacifico – o in ogni altro modo a voi congeniale, purché indolore -, per diventare un tutt'uno con me. Solo così riusciremo a fare un percorso insieme che, a questo punto, perde i connotati della soggettività intesa al plurale con tutte le sue variabili di genere, e diventa una soggettività puramente oggettiva, unica e indivisibile, intenzionata e non più esperibile arbitrariamente secondo coscienza. Solo così l'intenzione, che altro non è che percezione, viene messa da parte, in funzione – questo lo scopo - di intraprendere questo percorso che tanto mi sta a cuore fare insieme a voi.

Il prodromo di questo racconto è di oggi, 17 settembre / 1 ottobre 2024, mentre il testo del racconto risale alla primavera di quest'anno. Ne approfitto per raccontarvi anche che da due mesi ho iniziato gli studi universitari di Filosofia ed Etica, un percorso molto difficile, ma che, almeno inizialmente, mi coinvolge e mi vede attivamente partecipe in quanto particolarmente interessato. Non so fino a che punto arriverò con questo piano di studi per niente facile da affrontare, ma ribadisco che per ora mi gratifica particolarmente trovare, con mio stupore e piacere, tantissime similitudini di pensiero che mi e che si accostano all'arte contemporanea e mi aiutano, quindi, ad entrarci dentro visceralmente, anima e cuore. Il cammino intrapreso è molto più faticoso e impegnativo di quanto si possa mai pensare, implica di percorrere contemporaneamente due strade che, per fortuna, sono quasi sempre parallele. La continua e incessante attività creativa – si lavora anche quando non si produce –, e ora lo studio della filosofia. Aumenta così la consapevolezza, unitamente all'entusiasmo, di un maggior impegno nell'affrontare entrambe le discipline, che poi, alla resa dei conti, non sono mai solo due, ma sono due estese all'infinito. Insomma, sembra proprio che se non mi surriscaldo il cervello – il piacere di pensare – io non sia del tutto felice, che significa appagato in coscienza.

Qui, siamo esattamente al 15 aprile 2024, a lavoro concluso, manca solo la firma, pertanto mi posso dedicare totalmente a raccontare quello che mi è passato per la testa in questi due mesi. Da quando sono andato a Napoli con la zia Rosanna, e da quello che mi sono portato dentro dopo questo viaggio - vale per entrambi -, il quinto dedicato a Napoli, il trauma subito nell'aver visto il Tesoro di San Gennaro, è stato fonte di ispirazione. La mia mente non ha fatto altro che immaginare qualcosa di creativo che riassumesse lo stupore e il trauma subiti durante questa visita. La prima cosa che ci siamo sentiti dire, una volta acquistato il biglietto, è che il valore di questo tesoro è incalcolabile; wow!... Con questo primo trauma, quasi intimoriti, siamo entrati, immersi nel buio – perché l'incalcolabile doveva brillare, incutere timore e stupire il più possibile – per vedere quanto potesse sbalordirci questo incalcolabile tesoro.
L'aggettivo incalcolabile è volutamente qui ribadito, diciamo a sproposito, quante sono le volte che, a sproposito, ci era stato sottolineato prima dell'ingresso. Vi posso assicurare che di religioso, quando si visita il Tesoro di San Gennaro, non c'è niente di niente, nemmeno la percezione di un qualcosa di spirituale, di mistico, di qualcosa anche lontanamente accostabile con un minimo di oppiacea stravaganza, se proprio vogliamo dirla tutta – le stravaganze della chiesa ci hanno abituato agli eccessi, spesso carnevaleschi -, ma niente che sia accostabile, anche solo emotivamente o affine al ben che minimo rigurgito di pura e sana religione; tant'è la distanza siderale da ciò che è incalcolabile economicamente con quello che questo “tesoro religioso”, vergognosamente e sfacciatamente rappresenta. Poi, come ultima spiaggia, c'è la fede; quella non va mai a giudizio, quella non è mai chiamata a giurare su niente, su nessun “libro sacro” perché la fede è anarchia pura, la fede, quando c'è, aggiusta e giustifica tutto, ecco dove sta la risposta ipocritamente ingannevole quando la ragione viene vergognosamente messa a tacere. La fede non si discute, con la fede si può fare e dire di tutto, ostentare di tutto e senza provare vergogna; punto!
L'illuminazione che ho avuto a Napoli durante la visita a tutto questo “bene di Dio”, non è stata una sorta di apparizione divina, infatti, non ho visto madonne, cristi o santi, e nemmeno munacielli, ho solo visto tanti soldi; artigianalmente e artisticamente molto ben rappresentati e confezionati. Io e la zia ci siamo più volte guardati in silenzio, con l'espressione sbalordita e schifata di chi non avrebbe mai creduto di vedere così tanta “ricchezza religiosa” tenuta lì, sotto sequestro e in bella mostra; non tanto per le belle composizioni in sé, ma per il luogo dove eravamo – il Duomo di Napoli -, per i simboli che rappresentavano e per l'immenso valore economico lì ben custodito e assicurato.
Non è possibile, credente o non credente poco importa, non chiedersi cosa potrebbe fare la Chiesa con tutto quel ben di dio. Quanta gente povera potrebbe aiutare, a quanti bambini poveri e senza istruzione la Chiesa potrebbe dare un futuro. No, ipocritamente, ma astutamente allo stesso tempo, la Chiesa ci consiglia sempre e solo di pregare e, se ci esorta a fare la carità, questa carità la dobbiamo fare noi, mentre la Chiesa accumula e accumula, si ingrassa e si ingrossa, e poi scoppia, perché sempre, il troppo, alla fine, stroppia. La cosa positiva di questo vero trauma etico e morale subito, è stato l'incipit ricevuto, come ho già detto, positivo, visto il risultato ottenuto; per me s'intende!
Oro, argento, diamanti, smeraldi, rubini, perle, davvero una cassaforte stracolma di soldi. Mi chiedo, in nome di cosa, di quale incalcolabile valore storico, sociale, umano, tutto questo valore economico non si possa trasformare in opportunità di vita – per modesta che sia – per centinaia di miglia di persone bisognose, magari proprio di Napoli? In questo modo si creerebbe una sorta di reddito di cittadinanza attingendo direttamente alle casse della Chiesa di Napoli, e non alle casse dello Stato. Ma cosa ne penserebbero i napoletani? Meglio non dire, ah ah... Vedete, io amo tutto e tutti, ma l'ipocrisia, in ogni dove si annidi e manifesti, io vorrei solo darle fuoco, incendiarla con le mie mani; e non c'è Storia, Paese, Chiesa, che tenga.
Ma andiamo ad analizzare insieme questo lavoro, perché è questo il motivo principale per il quale sono qui a raccontarvi di me; il resto, davvero, prendetelo con le pinze, per quello che vale o non vale secondo voi, il più delle volte come uno sfogo, come un'analisi poco seria e poco attendibile, ma sempre ben spiegata, per tutto quello che nella vita, vissuta o sognata, mi gira intorno. Oppure fregatevene e basta!
Insomma, nella mente mi si era creato un vortice infinito – perché tutto ancora brilla e la luce si espande all'infinito, seppur prima di spiritualità. Qui è la mia coscienza di uomo – a prescindere -che ancora mantiene salda la propria fede, non in un Dio, ma nella propria morale che ha subito fissato nella mente cosa doveva fare, come doveva intervenire. Quando sono uscito da quella “caverna” gli occhi ancora ruotavano e brillavano di tutta quella luce maledettamente incalcolabile e sacra, mentre la mente già aveva messo a fuoco questo lavoro così come ora lo si vede; né più né meno.
Sento molto parlare in questi mesi del ritorno dell'oro – colori, foglia, vernici, polveri – nell'arte: ma va, che bella novità!
Mi convinco sempre più della distanza che c'è tra coloro che pensano – i primi ad arrivare – e coloro che eseguono - di solito arrivano dopo -. Chi pensa e poi subito fa – mette in pratica -, è sempre là, sul pezzo giusto, sul podio più alto. Come mai? Semplice, mi verrebbe da dire, pur sapendo che di semplice non c'è nulla, anzi...
Avere una mente sempre in fermento, una mente che lavora anche quando si dorme, significa innanzitutto vivere male, e non è pura retorica, è proprio così, ma come contraltare si beneficia di esperienze e “apparizioni” notturne e diurne magiche e impensabili, inimmaginabili solo qualche minuto prima. In confronto quelle celesti impallidiscono all'istante, tanto sono noiose e ripetitive.
Tornando a noi, all'arte, si è forse tornati a ripescare l'oro perché stanchi, prima dei colori e poi del monocromatismo? No lo so, ma il dubbio mi viene!
Da quanti anni Mauro Pavan usa l'oro, l'argento, il bronzo e il rame? Forse che si era già capito da tempo che sia i colori che le monocromie avevano fatto il loro tempo e che, forse, rimanevano ancora aperte le antiche miniere dei metalli primitivi e sempre più preziosi, in quanto divenuti sempre più rari, nella pittura intendo (?)
Ma fatevi tutti una vacanza culturale a Palermo, a Venezia o a Ravenna, giusto per rimanere in Italia, e riscoprirete il meraviglioso e magico – io insisto sul concetto di magia, perché tale è se la si sa percepire come tale – mondo dell'astrattismo ante litteram che fonda le sue solide basi sulla negazione totale di ogni riferimento formale ed emozionale – naturale – fine a se stesso e che interagisce con tutto ciò che noi percepiamo oggettivamente come vero. L'occhio vuole la sua parte, la mente pure!
L'oro rimanda inevitabilmente alla figurazione sacra - lo dico da laico -, immerge l'opera in uno spazio trascendente e proietta l'io nell'infinito.
Esempi di concetti già noti che esaltano l'eterna potenza simbolica di questa materia/oro, capace di porsi come nessun'altra sul confine tra il visibile dell’immagine e l’invisibile del suo messaggio – idea -, dando così vita a uno dei linguaggi più misteriosi e profondi dell’arte: l'astrattismo.
Ma torniamo a Napoli. L'indomabile genuina e solare caparbietà di rimanere a tutti i costi, napoletani, non italiani - forzatura quest'ultima che non c'è verso di farla attecchire in nessun'altra regione d'Italia - scatena l'invidiabile felicità di questa gente nel voler rimanere se stessa; napoletana, appunto, non italiana. Che forse risieda qui, anche qui, questa fede sfarzosa e sempre un po' carnevalesca, ammantata di oro e di pietre preziose, ammantata di troppo rispetto al troppo poco che tra i vicoli di Napoli vive e sopravvive?
Andiamo a scuola per imparare prima di tutto a conoscere noi stessi e a rispettare il prossimo, poi, da adulti, se proprio non ce la facciamo a stare bene da soli, cediamo una quota o più quote della nostra instabilità mentale alla fede. L'uomo ha da sempre avuto bisogno di credere in qualcun altro più forte e potente, qualcuno e qualcuna che gli potesse risolvere i problemi, donare la salute e, possibilmente, farlo star bene come un Dio; farlo sentire come un Dio. Cosa c'è di più efficace e irresistibile per tutti gli Dei nell'aggraziarsi la loro benevolenza in cambio di oro e gioielli?
Non è il diavolo a indurci in tentazione, ma la parte malsana e non risolta – ignoranza - che sta dentro ciascuno di noi. Per combattere e vincere il diavolo basta combattere – risolvere – tutto ciò che ci procura malessere. Come? Aprendo la mente al mondo – conoscenza – e aprendo la mente – fiducia – alla scienza. Tutto il resto, che pure conta e qui non detto, ma comprensibilmente sottinteso – soggettività e oggettività dell'io -, va comunque ri-cercato oltre il visibile con l'aiuto dell'arte – la creatività dei veri artisti -, non nella religione.

Non dimentichiamo mai che l'unico modo per sentirsi grandi e stare bene con se stessi, è di volare bassi.

Non c'è cosa più fastidiosa da sopportare che la presunta intelligenza partorita dalla supponente ignoranza.

Quello che io pensavo potesse essere e non è stato, non potrà più essere. Non con le stesse persone, non con le stesse circostanze, ma qualcosa di simile e in contesti diversi sì, questo potrebbe ancora essere. Fondamentale è non pensare a cosa non è stato per godersi appieno quello che ora è, a meno che non sia arrivato il momento di sentirsi maestri di se stessi, signori e padroni della propria esistenza, reale o ideale che sia.

 

 

Naturalmente autentici

 

Sono a letto, per il solito riposino dopo pranzo.
Sabato 20 gennaio, ho freddo ai piedi,
non metto la sveglia, e suona il telefono.
Parte un “porco...” seguito come dio comanda.
A quell'ora di sabato pomeriggio,
ovattato dentro l'anestesia del mio bisogno,
prendo il telefono e rispondo.
Il mio primo pensiero va a un uomo,
pensa te, invece era mia madre.
Non so di preciso a chi fosse rivolto il mio desiderio,
di certo non a una donna,
men che meno a mia madre: povera donna!
A volte dimentico di averla, una madre,
tanto ho fatto fin qui, senza di lei.
Povera donna, davvero, mi dico spesso
Mi fa tanta tenerezza, ma tant'è.
“La vie continue”, come diceva J. Prevert
E' la tenerezza verso una persona sola e anziana,
che agisce in me, non per una madre;
meglio credere senza provare.
A volte, stranamente, mi ritengo fortunato,
malgrado tutto, perché avendo già provato di tutto,
so cosa vuol dire questo e quello,
purtroppo; ci mancava solo quell'altro.
Rispondo, un po' deluso e scocciato:
che vuoi a quest'ora, lo sai che dormo.
Lei mi chiede scusa, e io mi sento strano,
quasi “sporco”, ma è così che vanno le cose.
Strano non vuol dire in colpa,
ma stranamente consapevole di aver maturato
una fredda posizione di autocontrollo
e di giustificata mortificazione della coscienza,
che in seguito ti tormenta l'anima fino a notte fonda.
E' suonato il telefono, nel bel mezzo del mio ristoro,
ho desiderato che fosse un uomo, ma era lei;
ahimè, sempre e solo tu, perché?
Ci siamo sentiti poche ore fa, le solite cose: come va?
Ho pensato a un uomo, perché?
Volevo un padre, un amico, un amante.
Ma eri tu, una donna, una madre: un'idea.
Per questo non ho risposto; non ricordo.
Donna, con te non posso, non hai le palle, madre.
Non hai potere su di me; solo
pietas per te.
Voglio un uomo con me, non te, e tu sai perché.
E voi, sì tutti voi, non dite niente,
invidiatemi in silenzio, casomai, ve lo concedo.
Abbiate il buon senso di non scherzare con me;
vi potrei nominare tutti, uno per uno, ipocriti!
Vi siete fatti spremere, e avete goduto con me.
Così va il mondo, quando si è fuori casa,
quando si frequentano le chiese la domenica,
perché gli occhi vanno lustrati meglio delle scarpe.
Per questo si va in chiesa la domenica;
uomo guarda donna, donna guarda uomo.
Uomo guarda uomo, donna guarda donna,
prete guarda bambino o bambina: dipende!
A nessuno frega niente dell'ostia: che noia!
Allora si frequentano i boschi e i parcheggi di sera,
quando non si sopportano le mogli isteriche,
e i figli non sempre all'altezza.
Quando si sarebbe voluto vivere in libertà,
come ha vissuto Mauro Pavan.
Io non sarò mai come Enrichetta, povera donna!
Io non chiederò niente a nessuno,
perché non ci sarà nessuno cui chiedere.
Nessuno dovrà provare
pietas per me.
Il fastidio di un solo odore imposto,
il bisogno di un odore alternativo negato,
gli incubi e gli orrori vissuti da piccolo bastardo
hanno fatto di me un adulto sgangherato.
Chi sono io? Temo di non saperlo!
Speravo fosse un uomo al telefono,
invece era mia madre.
E con questo vi ho detto tutto.

 

8 febbraio 2024

 

Io piango sempre!

 

Sono fatto così
Io piango sempre!
Perché non dirlo
Basta, ora lo dico: Io piango!
Tutti piangono: lo so!
Ma io piango tutti i giorni: Perché?
Perché sono triste tutti i giorni? No!
Perché soffro tutti i giorni? No!
Mi manca qualcosa o qualcuno? No!
No, non lo so, forse sì, non lo so
Allora perché piango sempre?
Io piango sempre e non so il perché
Quello che so è che piango tutti i giorni
Perché tutto intorno a me vibra
E quando tutto vibra, io vibro.

Sono fatto così
Quando io vibro, piango!

 

Sono un leone, ma sento di essere anche un po' gazzella. Quando un leone cattura e mangia la gazzella, i due corpi si fondono e ne esce fuori un nuovo corpo mitologico, con la forza di un leone, l'agilità di una gazzella e la fragilità di Mauro Pavan.

 

Tutto quello che si fa mettendoci sapientemente anche solo un pizzico di qualcosa di personale, qualcosa che sia tuo e solo tuo, diventa autobiografico, diventa riconoscibile e il tuo nome resterà per sempre.

Non fare mai ciò che è già stato fatto per il solo fatto di volerlo fare anche tu; a meno che tu non sia ancora un allievo. Trova sempre uno stimolo per fare qualcosa di diverso, di tuo. È il tempo che giudicherà, non sono gli “altri” del tuo tempo – solitamente non all'altezza -, e non sei nemmeno tu - solitamente non all'altezza altrettanto -.

 

 

Il disagio sociale e ancor più quello culturale, rendono le persone tristi e cattive, con spiccata ed evidente manifestazione di avversità verso tutto ciò che è bello e gentile.

 

Oggi ci si pulisce la coscienza con lo stesso fazzoletto con cui ti sei appena pulito il cazzo e il culo; che tanto, la prima la val l'altro.

 

Inutile pensare al futuro, perché nel futuro c'è solo incertezza, e il passato non conta più nulla; per questo niente vale tanto quanto vivere solo il presente.
Questa massima però non vale per me, tanto manca del mio buon senso di farla valere.

Al futuro sono, mio malgrado, costretto a pensarci; perché il futuro va costruito. Al passato invece, ci devo pensare per imparare a non fare gli errori già fatti e fare meglio ciò che in passato ho fatto male; perché il passato ci insegna, perché noi siamo parte viva del passato. La mia arte comprende tutte e tre queste dis-grazie, in quanto nell'arte riesco a mettere in ordine il passato, il presente e il futuro; solo così riesco a tirar fuori un concetto che stia in piedi da solo. La mia vita, invece – l'io soggetto -, continua a fare tanta confusione tra questi tre stadi vitali-mentali-emotivi che sembrano voler girare intorno a se stessi come una trottola che non smette mai di girare, e sembrano non voler sentire ragione sul trovare un accordo per fermarsi e vivere in santa pace tra loro = ma di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di soggettività pura, al netto del fenomeno in sé.

 

Seduto sui gradini di un palazzo importante, detto “della Ragione”, osservo, ascolto, ma non vedo e non sento se non i rumori che escono dai miei pensieri. Penso, ma poi mi rendo conto che è il vuoto, non il silenzio, che sta seduto accanto a me.

Tanta è la compagnia di cui si circonda la folle-folla, ma a me arrivano solo compatimenti e indifferenza, il tanto inutile vociare e fastidio – disturbo - che provo.

Osservo, e più osservo, più mi estraneo da questa confusione che mi disturba, appunto, perché non mi è maestra di niente.

La folla, folle, la similitudine, l'inconsapevole incoscienza di muoversi tutti allo stesso modo, di fare tutti le stesse cose, di agire tutti secondo un copione scritto più dalla Natura che non dall'Uomo.

La Folla, una naturale massa di individui che respirano e si muovono all'unisono, inconsapevoli di non cogliere così il vero senso della vita, - pausa -, ma che sto dicendo... Mauro Pavan, non tutti hanno “avvelenato” la pienezza della propria vita costringendola a respirare l'aria nel sarcofago della propria eternità terrena, quando la vita era ancora viva e andava consumata non importa come.

 

Quando si vuole spiegare tutto parlando troppo ci si accorge che era molto meglio stare in silenzio; questo avrebbe reso tutto molto più chiaro.

 

Più penso su ciò che è giusto e ciò che non lo è, più mi confondo e mi allontano delle mie supposte verità. In sintesi, mi incasino sempre più la vita e non vengo mai a capo di nulla, se non di un tutto che non regge il confronto con il suo omologo assoluto: il dubbio su tutto.

 

Credo che le verità che cerchiamo siano necessariamente connesse a quello che ciascuno di noi è, in quanto ha come consapevolezza di essere/stare nel presente, come esperienza di vita – passato – e come aspirazione consapevole e ragionevole di e per un proprio, ma non solo, futuro. Nulla c'entra, quindi, l'affannarsi quotidiano in ricerche spasmodiche e unicamente soggettive che non potranno che darci come risposte il riflesso - effetto specchio - del nostro vissuto e di conoscenza che ci portiamo dietro e dentro; risposte e soluzioni solo parziali dell'immenso che stiamo cercando. Mi sento in dovere di chiedere scusa a tutti i credenti, di qualsiasi Fede essi siano, in quanto, lo dico in coscienza, ogni volta che cerco risposte che non trovo, il pensiero di un Dio professore e giudice, non rientra mai tra le mie consapevoli priorità di un sano e convincente apprendimento, tanto vale poco conoscere dell'esistenza di un Dio rispetto al conoscere della materia di cui tutto è formato e si è evoluto, e che lungi dall'essere arrivato alla sua conclusa forma-definita-azione. Ciò che non vedo esiste tanto quanto, intendiamoci, ma qui si apre un mondo ancora molto oscuro e, per questo, passibile di strampalate suggestioni, anche affascinanti. Non che nell'arte, restando all'interno del mio mestiere, non siano state date risposte per spiegare “l'invisibile”, anzi, al punto che, a me sembra ora, tutto o quasi molto chiaro, ma ancora troppa strada c'è da fare e, credo, che l'incompetenza di troppi presuntuosi saccenti distributori di fumo porti a credere ragionevolmente che tanto ancora c'è da scoprire, da divulgare e, soprattutto, da imparare. Ciò che è ancora mistero è bello, suggestivo e affascinante, per questo esiste la filosofia e la creatività artistica. Per tutto ciò che è mistero, ancora non risolto e lo si vuole spacciare – ultima spiaggia - come verità dogmatica, è solo un gettare fumo negli occhi ai tanti sciocchi sprovveduti - spacciatori di “arte” compresi - che ancora hanno bisogno di fumare per sentirsi migliori.

La ricerca resta fondamentale per continuare con impegno a dare o a provare a dare risposte alle tante domande che contengono le altrettante verità assolute che non scopriremo mai e poi mai, quelle che non ci sono date di conoscere nel nostro presente. Questo vale solo in quanto stimolo per un atavico bisogno dell'essere che suddette ricerche ci porteranno di sicuro – non è dato di sapere se prima che tutto si distrugga e dissolva - a rivelarci, per mezzo sempre delle continue e incessanti ricerche stesse, quelle verità che altro non sono se non il bisogno incontenibile – già questo varrebbe un Nobel per l'umanità - di scoprire per conoscere, di imparare dalle scoperte, per modificare e modificarci che equivale ad evolverci sempre di più e, si spera, meglio. In questo concetto non c'è solo la scienza e la filosofia, ma c'è anche tanta creatività artistica. La vicinanza, se non proprio lo studio della filosofia, ci aiuta e avvicina in maniera molto pertinente e qualificata alla comprensione della storia dell'arte contemporanea, all'astrattismo in particolare e a tutte quelle forme intelligenti di arte che non ci sono date di capire lì per lì. Parlare e ascoltare l'autore – sempre che l'artista sia in grado di farlo -, ancor prima che il solito critico improvvisato pagato per tenere banco per la prima mezz'ora di quel determinato evento, è fondamentale per entrare dentro l'opera e capire, di conseguenza, la mente che di quell'opera è stata l'artefice. Il critico d'arte, se capace, arriva dopo, per scavare all'interno dell'opera tutto quel mondo, sempre incomprensibile per la massa, e che richiede un ausilio specifico per leggere e accompagnare lo spettatore dentro questo mondo fatto di misteri, di magie sensoriali e bravura creativa e compositiva. Quello che manca e di cui io non sento il bisogno, è di far entrare in questo meraviglioso laboratorio umano, già ricco di suo, già meravigliosamente ricco di tutto, anche un Dio.

Dentro questa logica che può sembrare molto cinica, sembra non esserci posto per una logica quantistica assoluta nel senso di risolta definitivamente. Non arriveremo mai a sapere tutto, perché ogni volta che crediamo di aver capito e scoperto cose nuove, altre se ne paleseranno e più complesse da decifrare rispetto alle precedenti. Attenzione, perché nel frattempo il mondo sta andando a rotoli, questo è un aspetto che la legittima curiosità scientifica e umanistica dell'uomo di oggi – quello che ne è rimasto - deve tenere in considerazione, se vuole avere ancora altre chance di progresso e successo che non possono prescindere da una pacifica e da una proficua, ma sempre intelligente, tranquillità interiore. Una tranquillità interiore che deve comprendere necessariamente il mio io in pacifica – non necessariamente collaborativa in senso stretto - simbiosi con il tuo e il vostro io; caratteristiche indispensabili per continuare a sognare, creare che significa sviluppare.

Non vorrei che il nostro bel pianeta – l'umanità - facesse la fine del cane che, girando su se stesso in maniera forsennata, cercando in ogni modo di agguantare la coda e non capendo che la coda è la sua e, ancor peggio, non capendo che agguantandola e mordendola farebbe del male a se stesso. Ma l'uomo può essere anche molto più stupido del cane – anche certi cani sono stupidi – e continuando a distruggere – qui l'ignoranza si esalta al meglio – anziché fare/costruire – non sto parlando di cementificare – finiremo per estinguerci senza essere mai arrivati a dare tutte le risposte di cui ancora e per fortuna, cerchiamo in tutti i modi possibili, non sempre leciti, di conoscere.

Ma che sia chiaro, va tutto bene cosi, è giusto così; è umano così. L'importante è di non creare ad arte finte risposte facendo leva sulla pochezza evolutiva della maggior parte degli umani, il famoso popolo, la massa per intendersi, senza distinzione alcuna, perché in questo caso può ricapitare – e purtroppo ancora capita - che si donino i soldi alla Chiesa, a tutte le Chiese, invece che donarli alla Ricerca, DIOro ringrazia!

 

 

Mamma, quando mi chiami “amore” mi di smuove qualcosa dentro che non so definire, ma so per certo che non è un senso di piacere, al contrario, è piuttosto una sensazione di fastidio che non riesco a gestire, non riesco ad accettare, tanto mi suona estraneo all'età mia. Ora, oggi, giovedì 3 ottobre sono già 66, ma non è questo che mi disturba di più. Il fatto è che non so, perché non mi è chiaro, se questa parola sia sincera o di circostanza, tanto eri abituata a chiamare “amore” altri, al di fuori di me. Anche questo è un tormento per me, diciamo pure un fastidio.
Da un lato non vorrei impedirti niente, sono io che ti sprono a dire sempre tutto quello che vuoi, tutto quello che ti passa per la mente, dall'altro, però, vorrei farti capire che questa parola è per me sempre fonte di sofferenza, ancorché di fastidio. Ma a una conclusione vorrei provare ad arrivare, vale a dire che se tanto mi dà tanto, se la tua sofferenza è stata pari a quello che anche tu percepisci come senso di colpa – dio non te ne voglia – allora il tuo amore per me è stato ed è sinceramente incommensurabile. Io provo a capire, ce la metto tutta per capire. Detto questo, riconosciuti gli onori e gli oneri di una genitorialità sgangherata, ti chiedo, mamma, di fare uno sforzo se ti riesce, e di non chiamarmi più “amore”; evita, se puoi, perché è l'unico modo per aiutarmi a non pensare continuamente a ciò che poteva essere e non è stato.

 

Quanto più si frequentano persone inutili, tanto più si apprezza la solitudine.

Come l'acqua di un torrente scorre via, a volte impetuosa, a volte più lenta, e scorrendo sbatte contro i sassi, le rocce, erode argini e trascina via di tutto, così è la vita, che scorre via veloce incontrando di ogni sul suo cammino. Così come l'acqua dei fiumi e dei torrenti, la vita scorre lenta e veloce, e va a sbattere contro tutto e tutti. Spesso si trascina via anche il bello che incontra, e quel bello troverà terreno fertile da un'altra parte. Così come siamo riusciti a domare e deviare il corso dei fiumi e dei torrenti, dobbiamo riuscire a domare e deviare, dove necessario, il corso della nostra vita, prima che sia lei a trascinarci via facendoci sbattere di qua e di là, senza mai farci incontrare un nuovo terreno fertile su cui rinascere.

 

Un Jolly non basta

 

Non sono stanco di vivere,
sono stanco di non vivere;
di vivere così, come “le dòne sensa marì”.
Stanco di vivere senza poter essere
il padrone assoluto della vita.
Ma la colpa non è solo mia,
di questo è colpevole la vita stessa.
Una vita già programmata alla regola d'arte,
una vita che già sapeva il fatto suo.
Sapeva che stava giocando il suo Jolly,
perché senza quel Jolly, contro di me,
la vita non ce l'avrebbe mai fatta.
Oh vita, prenditi pure la tua vittoria,
io me la sono già presa tempo fa,
quando ho rinunciato di vivere a modo tuo,
vivendo da santo e da porco a modo mio.

13 maggio 2024, in piena fase di smarrimento assoluto, deluso da una deriva culturale collettiva, che sembra non arrestarsi mai, senza più speranze che la vita mia e di tutti noi su questa sempre più povera terra, migliori, diventi meno crudele e meno arrogante, io non posso fare a meno di ritirarmi da tutto questo squallore e dire addio alla vita collettiva. L'unica cosa che mi consola, perché mi gratifica senza chiedermi niente in cambio, è il sesso. Il sesso mi sazia e mi consola, in pratica oggi campo di questo. Per avere un'idea, una pallida idea di quanto sia importante il sesso per me oggi, bisogna solo pensare a quanto sia incolmabile l'affetto che mi è mancato, e questa mancanza la sto colmando, da molto tempo ormai – lo psicologo dice da sempre -, con una insaziabile voglia di sesso. Non è uno sbandierare “la cosa” tanto per vantarmi – al contrario -, magari non fosse così, e sarebbe stupido solo pensarlo, ma è una umana reazione di difesa per colmare un vuoto che si è creato da tempo immemorabile, da sempre, appunto; direi, considerati i fatti, dalla nascita. Inoltre, chi pensa che saziarmi di sesso sia, tutto sommato, una situazione che mi sono voluto e cercato, e dentro la quale io ci vivo bene, allora chi pensa questo è stupido all'infinito; fate voi!
Quando non hai più niente e nessuno che ti colma e completa, allora ti colmi e ti completi da solo, come meglio puoi, con la svendita totale del proprio corpo, perché l'anima, a quel punto, non ti serve più a niente. Rimane sempre la coscienza però, il che è ancora peggio. Allora tutto è perduto? Non lo so, forse no, se all'improvviso arriva la soluzione, allora tutto non è perduto, ma può ripartire tutto a mille. La soluzione sarà pronta ad accogliere una ripartenza a mille? Non lo so, molto probabilmente no! E allora vale la pena di sperare, di aspettare, di illudersi ancora? Anche questo non lo so. Questo dipende da noi stessi, dal nostro carattere, dalla nostra forza interiore, dalla nostra dignità e consapevolezza di essere ancora un essere vivente che pensa e decide (?). Ma ad un essere vivente basta sapere di esistere per avere ancora la voglia di sperare in un futuro migliore? Io ho parlato di avere la consapevolezza di essere ancora un essere vivente, non di sentirsi solamente vivo e vivente. In quest'ultimo caso non credo che basti, in quest'ultimo caso ci si lascia vivere, nel senso di raccattare su tutto quello che capita, senza porti più il problema se una cosa è buona o non è buona, se è sana o non è sana, se è pulita o se è sporca. A questo punto o la Società interviene in tempo, oppure è meglio togliersi il pensiero da soli, con calma, rimandando, magari, ancora una volta – non si sa mai... -, ma poi, ad un certo punto, bisogna avere il coraggio di chiuderla lì. Vedremo!

 

Vacche da mungere

 

Così si sono ridotti i cosiddetti artisti di oggi:
A farsi mungere facendosi prosciugare la sacca
Illudendosi di essere sempre buone vacche
Che producono sempre buon latte
Il latte è buono anche in età avanzata
Ma lo stress da mungitura logora
Ti rende prono a tutti questi re e regine del gossip
Ti rende prostituto per uno scatto fotografico
Per una targhetta e una pergamena
Tutta roba da quattro soldi
Che non giova al curriculum esibire
Compresa la frasetta-panettone
Sfornata e confezionata con un copia e incolla
Pronti per essere sbattuti dentro un Catalogo
Di “Arte Contemporanea”: poveri noi!
Con il vestitino della domenica
La testa dritta e un sorriso da deficiente
Se poi ti fanno parlare meglio non dire...
Le cazzate che dicono gli artisti
Sono così insensate e confuse da rendere utili
Quelle che si scambiano sulle statali le prostitute
Se fosse per loro saresti munto dieci volte al giorno
Tanto loro hanno bisogno del tuo latte
Per mettere su peso in Banca
Per darsi quel tocco di fondotinta
Che li rende tutti così ipocritamente ridicoli
Tanto capiscono loro di Arte tanto capisco io di castità
Viviamo tutti dentro un pascolo di animali ammaestrati
Oggi tutti artisti e tutti prostituti da succhiare
Vacche che parlano e uomini che tacciono
Perché quando ti accorgi che sei ancora uomo
Il silenzio ti è unica vera musa ispiratrice
Tutto il resto un letamaio di cose inutili
Puzza che fa vomitare l'anima e l'intelligenza
Tanta è la “munnezza” che si vede e respira
Dentro le stalle nobiliari riempite di merda
Frequentate da artisti tutti un po' star di se stessi
Pronti a farsi succhiare tette e cazzi
Da questi avvoltoi dai gusti che non sanno spiegare
Da questi pro-cacciatori di allodole in cerca di specchi
Tanto sono costretti a succhiare di tutto
E questo “munnezzaio” lo chiamano “Arte contemporanea”
Mi fate pena poveri imbecilli!
Stanco di farmi mungere da cani e porci
Preferisco mungere io manzi e tori
Intanto aspetto mi rilasso rifletto e mi maturo
Maturo e vi mando tutti a fare in culo!

 

Provo a spiegarmi meglio: questo testo mi è uscito dritto fuori dal cuore, ma è la mente la vera artefice di questo sfogo. A seguire il fegato, che si sta ingrossando e distruggendo, tanta è la rabbia e la vergogna che provo quando mi faccio accalappiare anch'io, per mezzo di specchi magici e campanellini che suonano, da imbecillini, a festa. Scritto gli ultimi giorni di maggio '24, convinto che fosse doveroso farsi sentire, perché ormai subire e stare zitti è diventato insopportabile. Sì, subire, senza il virgolettato, perché ad un certo punto, chi più chi meno, diventiamo tutti inebriati da un protagonismo che ci hanno, nel tempo e col tempo, confezionato addosso su misura e che ci fa perdere il senso dell'orientamento e della misura – la consapevolezza smisurata di ciò che siamo e valiamo -, “costringendoci” subdolamente a diventare dipendenti - per questo proni - ai loro interessi, ai loro affari, ai loro bilanci, che nulla hanno a che fare con l'arte.
Non importa chi e quanti di loro ti diranno che sei bravo, questo per il fatto che prima hai pagato, ma adesso loro stanno mangiando e bevendo con i tuoi soldi. Svegliati! Sei hai fatto una cagata, hai fatto una cagata, punto! Se esponi la cagata nel più prestigioso palazzo della capitale, sempre di una cagata si tratta! Se loro ti dicono che hai fatto un'opera d'arte, ti stanno prendendo per il culo, e tu, stupido artista, ti pavoneggi e li ringrazi pure: idiota, o capra che Vittorio voglia!
Perché se non si capisce questo, se i cosiddetti artisti mancano del senso autentico di cosa sia fare la vera arte – non prendiamoci in giro ancora una volta, i parametri ci sono tutti, basta avere il coraggio di saperli e volerli applicare dimostrando intelligente competenza -, allora significa che ci meritiamo questo puttanaio, fatto di prostituti e prostitute in cerca di una stalla che brilla, dentro la quale fanno bene loro a mungere noi: vacche da mungere, appunto!
Tutto questo - per restare dentro al tema iniziale che ha dato l'incipit a questo lavoro - vale anche per loro, tutti loro che stanno a Roma intorno – in realtà sparsi ovunque - al trono che in origine è stato luogo di morte di un uomo etero e sposato, i cui seguaci, oggi come l'altro ieri, predicano il celibato, fanno sesso a destra e manca, cercano la gloria – non di certo quella celeste -, e fanno cassa facendo leva sull'ignoranza della povera gente o fosse anche, o ancor più dei nobili e dei borghesi, non per questo meno ignoranti, visto e considerato quello che donano a quei furbi là, o fossero anche solo poveri ingenui, seguaci e giullari – a loro insaputa - di quel povero Cristo. Concetti differenti di povertà; povertà a prescindere, etero o omo che sia. Per questo esiste la filosofia teologica che spiega “tutto” aumentando la confusione e il disorientamento, e facendo leva sui sensi di colpa inducendo a dare senza ricevere, se non mere e pie promesse - illusioni – trascendentali; illusioni, appunto, di quelle che solo il fumo ti fa vedere.

Non accettiamo certi “nuovi modi di vivere”, per usare un eufemismo bello e buono, non perché li riteniamo convintamente sbagliati, ma più semplicemente perché non siamo in grado di affrontarli; non ci sentiamo o non vogliamo metterli in pratica – adottarli - come li sanno mettere in pratica altri più liberi, emancipati, in poche parole più svegli di noi.

La vita perfetta – come modo di dire e intendere il concetto di perfezione in senso accademico - va in scena solo in teatro o al cinema, e rispecchia un copione voluto e scritto da altri. La vita, quella vera, invece, non è mai perfetta, è sempre un po' sgangherata e va in scena ovunque, anche per strada, di notte, dietro un cespuglio o dietro i ruderi di una chiesa abbandonata, ma rispecchia e onora la nostra vera e selvaggia natura di uomini liberi. Una vita perfetta è una vita che non è mai stata vissuta.

Accettare e sposare la solitudine è un percorso faticoso e per nulla scontato, non è sempre una scelta facile dal risultato positivo. E' una vera e propria scelta di vita, a volte desiderata e consapevole, a volte imposta dalla vita stessa. In quest'ultimo caso accettare la solitudine è davvero faticoso e impegnativo. In entrambi i casi, volenti o nolenti, una volta capito che quella è la strada da percorrere, diventa inutile opporvisi, si perde solo tempo e si rende tutto più faticoso da accettare. Molto meglio capire subito come stanno le cose in casa nostra e far fronte ad esse nel migliore dei modi. Sembra tutto facile, sembra tutto così lineare, una scelta da fare con facilità e in scioltezza, invece questo è un cammino lungo e faticoso, un vero percorso da affrontare nel tempo con tanta convinzione e tanta determinazione; che io definirei un vero e proprio Corso di Formazione. Ma credetemi, appena arrivano i primi risultati utili, allora tutto si fa più sopportabile, fino a diventare anche bello, fino a non poterne più fare a meno. Una volta laureati si diventa Maestri di Vita, e con questo certificato in mano si è abilitati all'insegnamento.
Mi viene spontaneo il paragone con chi, dalla droga si vuole disintossicare e, per fare questo, deve accettare, suo malgrado – consapevolmente o per imposizione – di fare un lungo e faticoso percorso per ritornare ad essere una persona libera e indipendente dalle droghe. E quando dalle droghe te ne sei liberato, allora con le droghe puoi chiudere definitivamente e, se il percorso l'hai fatto giusto e fino in fondo, con le droghe non vorrai più averci a che fare.
Da cosa ti libera invece la solitudine? Per quanto mi riguarda, la solitudine mi ha liberato da molte cose, una su tutte, dalle inutili e insopportabili presenze umane. La solitudine, quando è stata conquistata con fatica e a suon di... - non mi vengono le giuste parole per descrivere le tante sofferenze che questo percorso ti impone di sopportare -, ma una che mi ha caratterizzato non poco la voglio dire, il pianto. Sì, io ho pianto tanto, posso dire che tra i tanti sacrifici sopportati e superati, il pianto è stato il più punitivo.
Ogni volta che si piange – fosse anche per gioia – si soffre. Dopo ogni pianto, in qualche modo, si decantano le cose brutte che ci portiamo dentro e che sono state la causa nel nostro malessere e, ogni volta che questo ci capita, in qualche modo, appunto, le superiamo, ci appaiono di volta in volta più leggere, fino a – si parla di anni – superarle, nel migliore dei casi a trascenderle con sana, attiva e consapevole coscienza. E' così che si diventa liberi e santi, ma va bene anche solo beati, già in terra.

 

Divorziare dalla sana solitudine è praticamente molto difficile, se non impossibile, perché la solitudine ti rafforza e ti libera da tutto e da tutti, ti rende indipendente; ti rende unico e vero signore e padrone della tua vita. Se convintamente la sposi, la solitudine, da lei non ti separerai mai. Al contrario, divorziare da una donna è diventato un dovere, se hai ancora qualche chance di riprenderti in mano la tua vita; cosa impossibile da realizzare se la donna ha già pianificato di vivere sulle tue spalle.

 

Nel caso di morte di una femmina, causata dalla forza, ancora bruta, ma per questo ancora e sempre naturale – pro natura - del maschio, propongo di sostituire la parola femminicidio con la parola “logorricidio”, che è lo stato, la condizione di sopportazione del maschio che, spesso, non sempre, ma spesso, si manifesta molto tempo prima del femminicidio.

Provate a osservare bene un maschio stressato da una femmina, dopo anni e anni di sopportazione, quel maschio si allontana sempre più dalla “prima” femmina e, senza tanti giri inutili di spiegazioni sociologiche, psicologiche, ma nemmeno antropologiche, te lo ritrovi a caccia di altre femmine, oppure, cambia radicalmente la sua cacciagione e lo becchi che si accompagna con altri maschi. Anche questa è Natura!

Quello che voglio dire è che ci dimentichiamo, stupidamente, ideologicamente, ma sta di fatto che non ne parliamo mai – un grazie speciale va al politicamente ipercorretto che in questi anni ci ha lavato completamente il cervello - che siamo e che apparteniamo ancora, malgrado non si voglia ammetterlo né ricordarlo – in quanto ideologicamente deviati -, al regno animale. E, inoltre, che non siamo così tanto bene evoluti come ci farebbe tanto comodo ammettere o credere, ma siamo animali con istinti ancora - in moltissimi casi -, primordiali, punto! E torno a ribadire che anche questa è Natura!

Perché, non si affronta il problema del cosiddetto femminicidio anche da questo punto di vista, perché? Per ora, l'uomo e la donna sono ancora fatti di carne, ossa e sangue e di un cervello non sempre evoluto alla stessa maniera. Invece di frequentare i corsi prematrimoniali gestiti dai preti – beata Paola, che c'azzeccano i preti in questi casi -, si frequentassero i corsi con gli specialisti del sesso e del cervello; ne gioverebbe tutta la specie a venire...

Questa malsana idea dell'uomo perfetto è solo una mera chimera messa in scena da chi ha voluto che gli esseri umani si assomigliassero tutti e che fossero o si credessero tutti uguali; forse per gestirli meglio (?!) Per non parlare poi dell'idea strampalata – altro che malsana -, che gli uomini debbano essere considerati tutti uguali e perfetti in quanto tutti figli di quello Là (?!); ma per favore!

Se continuiamo di questo passo, alla perfezione ci arriveremo tra un miliardo di anni, quando avremo finalmente capito che perfetti non potremo mai diventarlo. Per questo stiamo ricorrendo alla cosiddetta intelligenza artificiale (?), proprio perché qualcuno ha capito, finalmente, che lasciando andare l'uomo per conto suo – per capirci, lasciando le cose come stanno -, invece di progredire, l'uomo imploderà, trascinando con sé tutto quello che di buono è stato fatto finora. L'ipocrisia e la strumentalizzazione di insensate ideologie fuori programma, il valore che abbiamo dato al denaro, maggiore di quello dato alle persone, ci stanno restituendo – ahimè, con tanto di interessi insostenibili – con una tempestività spaventosa e inaspettata quello che, con spavalderia, prepotenza e con la forza – sempre di Natura ingiusta si parla -, pensavamo di poterci prendere noi.

 

 

Mamma

 

Oggi porto il peso della tua leggerezza;

il suono della tua voce mi addomestica.

I tuoi problemi, le mie sfide... Avanti, fino alla morte!

Problemi e sfide che escono dai seni della vita;

grazie, mamma, per avermi aiutato a crescere.

Anche così va bene, capisco e accetto.

Mancava qualcosa per sentirmi completo,

mi mancava il contatto con te, donna e madre.

Spero ti possa accontentare di quello che ti so dare;

so bene che avrei potuto darti di più, ma quel di più

non è cosa che dipende da me; credimi, è così.

Sentirti, doma la mia intemperanza, la tua voce è gentile.

Donna, quanto hai sofferto; mamma, quanto mi sei mancata.

Ora siamo di nuovo uniti, vuoi per un paio di calze, un pannolino,

una caramella, una rivista di storia che a te piace tanto,

un cerotto, un profumo o del cioccolato portato di nascosto.

Donna, tanto hai sopportato in silenzio che ora tutto ti sembra oro.

Ma io so, Enrichetta, quanto hai sofferto, senza amore né gentil sesso.

Troppa leggerezza, troppa dolcezza, troppa ingenuità;

troppo di tutto e niente di quello che serviva a me: per carità!

Ora sei qui e, a parte tutto, va bene così.

Sento il suono della tua voce, il peso della tua leggerezza;

sento miei i tuoi problemi, sento che ci sei: i tuoi occhi mi cercano.

Mamma, io non voglio altro da te, questo mi basta.

Oggi so di avere una mamma anch'io.

 

Verona, 12 giugno 2024

 

 

Una fede DIOro

 

Di oro mi nutri
Di oro mi vesti
Di oro mi preghi

Io, Santo Gennaro
Ringrazio e ti benedico

Mentre con DIOro

Ce la cantiamo e ce la suoniamo

Da napoletano mi godo

La vostra incalcolabile generosità

 

A Gennà, ascolta me
Che di chiesa son cresciuto

Nutriti, vestiti e fatti pregare accussì
E come si dice dalle parti tue:
Futtatenne!

 

Verona, 29 settembre 2024