Concetto Temporale 22/5


Raccontato dall'autore


Astratto: Andante ma non troppo

Non si guarda solo con gli occhi
Non si ascolta solo con le orecchie
Non si parla solo con la bocca
Non si odora solo con il naso
Non si cammina solo muovendo le gambe
Non si ama solo con il corpo
Per fare tutto questo, basta volerlo
Basta il pensiero, conta l’idea
Basta la mano della mamma
Basta un ricamo
Basta un gomitolo e un ferro da lavoro
Basta un centrino
E tutto diventa oro
Conta un sorriso
E' sempre un concetto
E' sempre questione di Tempo

Prima di parlare tanto per parlare – non ho detto a vanvera -, voglio dire una cosa fondamentale e molto seria che riguarda il mio lavoro. Lo faccio per Voi, perché per me è tutto fin troppo chiaro. Ma visto e considerato che questo cammino ho deciso di volerlo fare insieme a Voi, con pazienza mia e vostra, ogni tanto ritorno sul pezzo. L'oggetto e soggetto è sempre quello, ma quello che cambia in continuazione, non solo per ogni singolo lavoro, ma di giorno in giorno, di ora in ora, sono io. Il tema è sempre quello, io no. Io cambio di colore, di forma e di umore, ma l'idea, il concetto, rimane quello. Ecco cosa sto facendo io adesso, ecco cosa/chi sono io adesso. Anche questo è un concetto. Anche questo è puro astrattismo in arte, allegro-andante nella mente e nell'anima, mai troppo però, per ora. E' l'artista che imprime sul lavoro che sta facendo l'alito buono o cattivo che ne determina il risultato. Se l'alito è profumato il risultato e assicurato, se l'alito puzza, anche il risultato puzzerà. Voglio dire che il prodotto finale è strettamente collegato, anzi subordinato, al valore-spessore artistico-culturale di chi lo determina. Il risultato finale contiene, necessariamente, tutto quello che l'autore aveva prima considerato, pensato ed elaborato dentro di sé. Ma non è tutto, perché nel fare, possono cambiare le carte in tavola e il gioco si può modificare, complicare o semplificare. In mezzo c'è sempre un mare, dipende dal vento che tira in quel momento. Per questo racconto, per questo parlo, per questo mi spoglio, per voi, per essere credibile e, possibilmente, capito e amato.

Ecco a cosa serve seguire il percorso di un artista, qualunque sia il suo ambito lavorativo. Ecco a cosa serve seguire il modificarsi – divenire - del suo lavoro, seguirne l'evoluzione. Capire cosa e come un artista ha mangiato la sera prima, e cosa e come l'ha espulso fuori il giorno dopo. Questa è la vera vita e la vera natura – sempre naturale – di un artista e, sempre di conseguenza, della sua arte.

Le emozioni più belle della vita e i viaggi più interessanti, si fanno quando si riesce a mettere insieme l'anima con la mente. La parte istintiva e genuina, quella pura, che ciascuno di noi possiede alla nascita, con la conoscenza e la capacità di discernere il buono dal cattivo, il bello dal brutto, che si maturano con lo studio e l'esperienza; solitamente da grandi.

Cosa c'entra questo con il raccontare dei miei lavori per mezzo del “vivere” artistico? Il “vivere” artistico è il risultato di quel complesso insieme di fattori, qui sopra considerati, che determinano, allo stesso modo del vivere, il mio “fare” artistico.

Domenica 14 agosto 2022, all'imbrunire stavo sul balcone, comodamente seduto sullo sdraio a contemplare la pioggia che scendendo picchiava forte sulle tegole dorate, ascoltando con totale trasporto la musica che ne scaturiva fuori. Anche il botto dei tuoni lo percepivo come il secco battito dei timpani e il suono forte e breve dei tromboni, all'interno di una classica esecuzione musicale areniana. Insomma, stavo lì seduto dopo una giornata di duro lavoro in casa – difficile da credere, ma il lavoro non si materializza da solo nemmeno ad agosto -, inebetito e perso dentro i miei pensieri con questo accompagnamento musicale naturale, pronto a lasciarmi andare per sempre, come stessi provando il momento in cui, quando sarà, immagino di voler lasciare questo mondo per andare a provarne uno diverso. Sarei rimasto lì per ore e ore, ad ascoltare quei rumori musicali che avevo ormai dimenticato, tanto era il tempo che non pioveva. La pioggia batteva decisa, ma con ritmica e melodica precisione, sul tetto della vecchia casa che sta di fronte. Una casa in perenne ristrutturazione, ahimè tipico di quando si fanno i lavori in economia. Lo sguardo era rivolto al cielo, di cui vedevo solo la metà in altro, dato che il tetto in orizzontale tagliava a metà l'inquadratura, con quella casa che non posso, per mille motivi, non definire maledetta. Sotto il cornicione sostavano, parcheggiati perennemente, i piccioni, stranamente fermi, immobili, quando solitamente sono sempre in preda al demonio, tanto fanno quel fracasso insopportabile svolazzando freneticamente dagli oscuranti di metallo del mio condominio e il sottotetto della casa maledetta che mi sta di fronte. Eccoli là, maledetti piccioni, fermi immobili, impauriti dal temporale; codardi! Forse questo è il loro punto debole mi era venuto da pensare, stupidamente peraltro, visto che di punti deboli, i piccioni, sembrano non averne, tanto sono arroganti a sfacciati verso ogni altra forma di vita. Il cielo era ormai completamente grigio, di un grigio chiaro uniforme, con dentro un pizzico di blu, diciamo un 8% , un pizzico di bordeaux per un 4 % e di viola, non più di un 1,5%. Mentre la pioggia insisteva, senza più convincere, si facevano più intensi i lampi e i tuoni, ma tutto faceva presagire che sarebbe finito, come quasi sempre accade, con un nulla di fatto. Ci mancavano solo le campane e le sirene delle ambulanze, ad aggiungere suoni e rumori musicali in questo melodramma agostano; che poi, da dove li sento io, dal balcone che dà sul retro del condominio, guardando verso Nord-Ovest, verso l'Arsenale, non capisco mai da dove provengano. Le campane soprattutto, da anni mi confondono sempre quando battono le ore, perché prima partono quelle dell'Arsenale e poi, dopo cinque minuti circa, arriva il ritocco di quelle di Castelvecchio, quelle più attendibili perché più veritiere. Un'ora più tardi avrei dovuto dimezzare il viola e togliere il bordeaux, aggiungendo un pizzico di verde, ma poco poco, giusto la punta del pennello sporca di un verde non troppo smeraldo e non troppo veronese. Invece il giallo chiaro avrebbe sostituito completamente il rosso bordeaux. La parte chiara, subito sopra il tetto orizzontale della casa maledetta, che sfumava verso l'alto dentro la zona più scura, ma ancora riconoscibile con le sue sfumature intense di grigio-blu-verde. Un grigio incupito, malinconico e stanco, ma non arrabbiato, non rancoroso; un grigio maturo, un po' malato, che infonde pace e tranquillità, un grigio dalla personalità matura e autorevole, stanca, ma decisa e pertinente per quel momento e situazione là, assolutamente non ostile, anzi, maestra d'infanzia.

Lo stesso giorno, in prima serata, alla televisione andava in onda un programma su Gianni Berengo Gardin, famoso fotografo del bianco e nero, che in una intervista recente affermava che il colore destabilizza e disturba. Si riferiva alla sua personale idea di fotografo, in base alla quale la completa e assoluta bellezza della fotografia è appannaggio esclusivo del bianco e nero. Devo ammettere che questa idea di bellezza e di eleganza della fotografia in generale, è riuscita col tempo ad annebbiare la vista a molti, rendendo il bianco e nero, in assoluto, l'unico e vero parametro che determina la bella riuscita di una immagine fotografica.

Mi voglio qui prendere la responsabilità di rispondere al bravissimo fotografo corregionale: Gentile Sig. Gardin, questa fesseria, detta da una persona ormai in là con gli anni, riesco perfino a sopportarla e giustificarla. Premesso questo, le suggerisco di considerare, da nuovi e migliori punti di vista, l'importanza del colore, bestia nera di tutti i pittori, che sia ben chiaro, ma, a quanto pare, anche dei fotografi. Davvero non capisco la paura, mascherata da una scelta di buon gusto e raffinatezza professionale, che hanno del colore i fotografi di oggi, i quali preferiscono sempre, guarda caso a prescindere, il bianco e nero. Io penso che sia più per un mero fatto di snobismo e pregiudizio nei confronti del colore, una sorta di ideologia un tantino radical chic, che vuole a tutti i costi l'annientamento del colore nella fotografia. Quasi che il colore fosse diventato, o troppo banale, popolare, o troppo problematico da gestire; per questo liquidato con fare da snob, una sorta di autarchia generale che ha investito più o meno tutta la categoria.
Il colore visto come una barriera insormontabile, il colore visto come la vera bestia, il mostro cattivo da sconfiggere, non solo per i pittori, ma anche per i fotografi.
Lo dico subito e prima io stesso, prima che a qualcuno venga in mente di affermare stupidamente che a Mauro Pavan non piace il bianco e nero in fotografia. E' evidente che non è così, ed è altrettanto evidente che non è questo che voglio intendere, quando dico che è diffusa la paura di affrontare il colore. L'uso del bianco e nero è meraviglioso, è, se vogliamo, la sintesi di una lunga esperienza fatta prima col colore, esperienza che, comunque la si voglia mettere, considerare, deve esserci prima, deve essere fatta prima. Poi arriva il bianco e nero che, ad esperienza con il colore fatta, ne diventa la sua essenza, la sua naturale emancipazione.
Questa considerazione sull'utilizzo eccessivo e quasi da intendere come rifugio, come ancora di salvezza, mi fa venire in mente quando si è giovani e a scuola si tende ad usare molto più la matita per disegnare che i colori per dipingere. Si fanno una quantità enorme di disegni, ma poi, quando arriva il momento di colorarli, aiuto, si va un tantino nel panico. Si preferisce insistere col disegno, anche da grandi, che fare lo sforzo, un balzo in avanti per togliere di mezzo il bianco e nero e iniziare a dare una struttura più realistica, un corpo più solido e definito al soggetto di cui ci si sta occupando. Certamente questo è la base dell'insegnamento per chiunque si confronti in prima persona con l'arte, ma questo è anche il rischio che spesso ci tiene ingessati per tutta la vita. E' sufficiente guardare attentamente quanti pittori usino il colore come una estensione del bianco e del nero, per rendersi conto di quanto sia ostico l'argomento “colore”.
Nessun pittore ammetterà mai di avere paura del colore, ma la realtà dei fatti dice altro; il risultato finale dice altro. Sono convinto che questo vale anche per la fotografia; sempre con le dovute eccezioni s'intende.
La parola colore non va mai gridata, va sussurrata. Questa la base di partenza. Poi, una volta imparato a sussurrare con rispetto e competenza questa parola, si possono alzare e abbassare un pochino, piano a piano, i toni. Una volta imparato a gestire come Dio comanda il colore, con tutte le sue innumerevoli tonalità, una volta imparato a farsi rispettare dal colore, seppure con l'inganno, una volta che il colore ha capito che a comandare sei tu e non più lui, solo allora puoi permetterti il lusso di alzare i toni, di gridare e tirarlo per i capelli. A questo punto il colore farà quello che tu vuoi, quello che tu comandi. E, sempre e solo a questo punto, la responsabilità di come gestire il colore, del risultato buono o cattivo, spesso schifoso, se da vero maestro o da povero allievo, sarà tua e solo tua; tuo il merito o la colpa, in caso di sconfitta, mai del colore.
Il colore è un gigante, apparentemente innocuo, invece è un mostro cattivo, dalle mille facce, dalle mille gambe, dai mille artigli e dalle zanne lunghe e acuminate e, soprattutto, dalla pelle dura, coriacea, quasi impossibile da penetrare. Non affrontarlo mai con troppa arroganza e spavalderia, ne sarai travolto e spacciato ancora prima di avere avuto la possibilità di capire chi davvero hai di fronte. Invece, tira fuori piano a piano le tue conoscenze, le tue strategie, le tue capacità e non affrontarlo mai guardandolo con fare di sfida, sii paziente, e furbo se serve. Quel mostro, quel gigante che si chiama "colore" si piegherà al tuo volere, ti riconoscerà come suo padrone, e ti asseconderà ogni volta che glielo chiederai. Il colore ti sarà amico e fedele per sempre, il colore ti ascolterà e ti aiuterà a trovare sempre e in ogni circostanza la soluzione giusta, se solo tu saprai essere un bravo maestro.
Non sono d'accordo sul fatto di contrapporre il colore al bianco e nero come se fossero due acerrimi nemici da sempre. Piuttosto mi piace pensare, convintamente, che questi due protagonisti dell'arte siano complementari l'uno all'altro, siano indispensabili l'uno all'altro, perché non sta scritto da nessuna parte che si debbano per forza combattere per annientarsi; al contrario, possono collaborare insieme e trovare insieme il giusto equilibrio per dire la loro, o congiuntamente o separatamente, ma sempre per il bene e il buon risultato finale. Che sia la pittura o che sia la fotografia, che sia il cinema o il teatro, o che siano le altre mille forme espressive con finalità artistiche, il colore e il bianco e nero daranno il meglio di sé quando impareranno a non farsi più la guerra e a collaborare insieme intelligentemente. Il bianco e il nero devono collaborare, devo essere complementari l'uno all'altro, devono capire quando fare presenza e quando stare a casa a dormire; devono essere complici, mai nemici.

Perché mai se i lavori che faccio li faccio per me stesso, dovrei aspettare di essere ricordato dopo la morte; sarebbe bene che ci si accorgesse di me adesso.

Quando mi sento solo e malinconico, prendo un buon libro e leggo. Se con la lettura mi bevo il cervello, allora spariscono tutte le malinconie; mi sento ubriaco nello spirito e appagato nel cervello.

Da piccolo volevo diventare un pittore, e lo sono diventato. Ora, da grande, vorrei diventare un maestro, ma ho ancora strada da fare; mi conforta però sapere che la strada è stata intrapresa.

Quando ripetere certe ovvietà non risulta poi così tanto ovvio, per esempio quando si dice che: “Più si impara e più si capisce di essere ignoranti”; ecco, questo era necessario ribadirlo.

Ammettere con umiltà la propria ignoranza, è un modo intelligente di affermare con dignità i propri limiti.

Ci vuole una testa malsana e uno stomaco di ferro per cercare Dio tutta la vita, quando ormai è chiaro che Dio non sta cercando te.

Perché mi succede di pensare continuamente a Dio se vivo ogni giorno con la convinzione che non ci sia nessun Dio? Una cosa è certa: E' certa la presunta colpevolezza di sentirmi innocente per non aver commesso nessun fatto, sapendo però di averlo desiderato.

Vive in me la serena consapevolezza di aver vissuto una vita solo a metà; da qui il desiderio di poterci riprovare ancora.

Se potessi, se mi fosse concesso di continuare a dipingere, vorrei passare il resto della mia vita in convento; per lavorare tranquillo e meditare, che per me equivale a pregare.

Ci comportiamo come se tutto quello che facciamo lo potessimo fare ancora mille altre volte, per questo diventiamo superficiali. Non ci rendiamo conto che ogni cosa che facciamo, potrebbe essere l'ultima.

Davanti a una formica che passa, facciamo tutti un passo di lato, permettendo a ogni forma di vita, di farsi la propria vita.

Viviamo momenti belli che pensiamo di poterli rivivere mille altre volte. Molto più saggio sarebbe viverli ogni volta immaginando di non poterli rivivere mai più.

La chiamiamo Fantascienza, ma altro non è che l'estensione di ciò che è già stato, proiettata in un futuro ancora presente.

Parolacce, incitamenti di ogni genere all'odio, esaltazione delle droghe, contrapposizione dura e feroce per tutto ciò che rappresenta l'ordine sociale, contro le regole da seguire per il bene comune di una società libera, civile e democratica. Contrapposizione dura e feroce contro tutto e tutti quelli che non la pensano come te, a maggior ragione se sono di destra. Tutto questo si trova nei testi delle canzoni rapper e trapper. Chi le canta – a questi livelli si usa così -, dice che questi testi rispecchiano il degrado della società odierna, sono lo specchio della realtà che sta fuori, fuori da tutto ciò che si rifà all'ordine delle cose, ordine istituzionale stabilito per il buon funzionamento di una società intera, di un intero Paese. Personalmente sono convinto che si faccia ancora molta fatica a capire la differenza che c'è tra limitare la libertà e regolamentare la libertà. L'individuo non è mai solo uno e unico, riferito al contesto sociale, comunitario, ma si è tutti individui comunitari, collegiali. Un conto è la nostra personalità, il nostro carattere, la nostra singolare specificità di singoli individui, un altro conto la regolamentazione sociale, comunitaria a cui tutti noi ci dobbiamo attenere per il bene comune, il bene di tutti. Casomai è questa la visione più democratica di intendere il vivere bene – il buon governo - , il vivere bene tutti insieme singolarmente per il bene comune, non la libertà senza regole e confini che permette a tutti di fare e combinare di tutto. Oggi siamo arrivati al punto che non si capisce più chi ha torto e chi ha ragione, chi deve pagare e chi deve essere giustificato a qualunque costo, contro ogni ragionevole buon senso. Una cosa non esclude l'altra, anzi, la esalta, la nobilita, la onora; le regole da seguire sono il vero pilastro portante su cui si fonda e si fortifica una comunità sana. Oggi non c'è più nessuno che va a caccia di animali selvatici per commerciarne le pelli, dopo aver disseminato trappole – trap - dappertutto.
Io mi chiedo se quella data da quel cantante là, sia una spiegazione accettabile, una spiegazione che abbia un minimo di senso logico, nel senso di positivo e sano, oppure una stupidaggine pronunciata senza rendersene conto. Stiamo parlando in ogni caso di ragazzi molto giovani che fanno fortuna – soldi -, e hanno un grande consenso e seguito di ragazzi molto giovani, tutti alternativi e convinti di esserlo. Credo sia più la seconda, perché vedendo la massa di questi giovani che seguono questo filone musicale di protesta, sono gli stessi che si muovono e agiscono in gruppo, non sempre con scopi benefici e pacifici. Presi singolarmente, invece, manco sanno dove e cosa ci stanno a fare su questa terra e tanto meno sanno dare spiegazione di quello che vanno sbraitando.
Io mi chiedo ancora, perché non fate uno sforzo vero e onesto, per trovare parole che diano risposte risolutive, alternative, a queste società, sicuramente alla deriva, ma proprio per questo bisognose di consigli utili, positivi, di proposte costruttive, non di specchi che ne esaltino soltanto le parti più brutte di cui tutti già ne conosciamo gli esiti. Vi fregiate del sostantivo aggettivato di “artista”, ebbene, sappiate esserlo davvero, sappiate fare e dimostrare lo sforzo di andare oltre, di proporre canzoni con testi di riconciliazione e pacificazione casomai, se ne siete capaci, altrimenti, col cuore, vi dico che “un bel tacer non fu mai scritto”, e strillato, aggiungo io. In poche parole, non serve che gettiate benzina sul fuoco solo per il fatto imbecille di aizzare le folle giovanili che, sempre da imbecilli, vi seguono credendo di seguire un modello di vita, di comportamento. Ma tanto, un ragionamento così, a voi “artisti urlatori” di 18/20 anni, che ve lo faccio a fare?...
L'embolo è partito ascoltando una puntata di Report su RAI 3 del 18/07/22, durante la quale si intervistava uno di questi fenomeni di oggi.

La perfezione assoluta non esiste fintanto che tutto si presta ad essere perfettibile.

Essere più saggi non vuol dire essere più intelligenti, ma essere umilmente più consapevoli di accrescere via via le proprie responsabilità.

Oggi, 08/09/2022, il mondo è in lutto: Per chi?
La regina è morta: Viva la morte della regina!
La regina è morta: Chi se ne frega!
La regina è morta: Li mortacci tua, sua e vostri!...
La regina è morta: The End, tutti a nanna!
Oggi, 08/09/2022, la regina è morta: E basta con sta storia!

La regina è morta; lo dico con molto rispetto, ma altrettanto sinceramente, che era ora. Poraccia lei e poracci noi; punto e fine di una storia.
E' no..., ma come, mo arriva il re! Nooo..., per carità di Dio..., mo basta, che stiamo scherzando? E' sì, ho visto un re! Nooo..., il re nooo! Ancora un re... Nooo!!!

Il mondo è bello perché, nei casi più disperati, c'è sempre un Re, un Papa e l'Arte a salvarci dalla noia.