Concetto Temporale 22/6


Raccontato dall'autore

Poesia e Arte
Insieme è meglio

L'arte di inserire la poesia nell'arte: Quando la poesia è presente nell'arte, l'arte non è più solo bella, ma diventa sublime, diventa qualcosa di più, diventa altro ancora, e non può più essere facilmente compresa da tutti. Questo è un bene o un male? Non lo so, non so dare una risposta a questa domanda un tantino stupidina, ma questo è.
Quello che so per certo è che la mia arte, una volta messa la firma, non è più solo mia. Questo è un bene o un male? E' un bene, per questo io mi prendo il tempo necessario per stare qui con voi. Un tempo sempre più raro e prezioso che, al di là di tutto, riesco a ritagliarmi per stare qui con voi, per parlare con voi, per raccontarvi sempre quello che mi passa per la mente quando lavoro. Posso sembrare presuntuoso, no, non è questo, sono solo consapevole di quello che faccio, e in quello che faccio, la poesia è presente. La poesia nell'arte non è più una cosa che si può spiegare con facilità e leggerezza; la poesia nell'arte, quando c'è, ti obbliga e ti impegna su mille fronti, tante le sfumature presenti che muovono tutti gli organi fisici, psichici, morali e spirituali che ne determinano la presenza, che ci impegnano nel saperla individuare, leggere, interpretare, e poi divulgare. Per come la vedo io, quando la poesia è presente nell'arte, chi ne osserva il risultato, non dovrebbe più avere nessuna esitazione nell'esclamare: Perfetto! E quando si dice “Perfetto”, significa che ogni cosa, linea, colore, sfumatura, oggetto e soggetto, sfondo, l'insieme di tutto deve fare-essere un corpo unico, deve vibrare tutto, deve suonare tutto, deve riflettere e illuminare tutto, deve cantare tutto insieme, con armonia, eleganza, perfezione nell'insieme a tal punto da rimanere senza parole, tanto sarebbero inutili qualsiasi parole. Ecco perché mi sono permesso di dire che quando si arriva a certi livelli di completezza e armonia, di perfezione, tra arte e poesia, per entrare dentro questo mondo, universo, o semplicemente dentro a un lavoro-quadro, ci vuole il traduttore analogico.

Se manca “il Virgilio” della situazione che ti accompagna fin dentro le trame del tessuto, gli strati della storia, i colori della gloria terrena e spirituale, se manca “il Virgilio” della narrazione che ti spiega idee e concetti che non sono visibili agli occhi di tutti, come fa la mia gente a partecipare alla mia messa. Come fa la mia gente a ricordarmi in quanto pittore, se a loro sconosciuto; poco importa se amato o ignorato, ma conosciuto sì. Per conoscere bene un pittore, non importa chi, si deve imparare a leggere quello che fa, che scrive, che dipinge, perché all'interno dei suoi scritti e della sua pittura e della sua vita, si annidano tutte quelle mille sfumature su quei mille fronti che lo rappresentano, che rendono, se presenti, quel lavoro un capolavoro: Poesia.
Poesia di mestiere, poesia di quello che si vede e si legge e che si percepisce esserci, poesia di persona, poesia di mistero, ma di un mistero che si è già rivelato, poesia di artista: Poesia.

Diversamente

Io sono in quanto esisto
La tua fragilità
Mi ha aperto alla vita
O madre mia

Io sono quello che faccio
Perché la tua assenza
Ha forzato la mia presenza
O madre mia

Io ti ringrazio
Perché mi hai salvato
La condanna era scritta
O madre mia

Figlio di nessuno
Giocattolo di tutti
Ci siamo ricongiunti
Mano nella mano

La missione è compiuta
Tra sorrisi e capricci
Diversamente felici
Innamorati per sempre

24/10/2022 Dedicata a mia mamma per la festa del suo ottantaseiesimo compleanno, festeggiato sabato 22 ottobre a Buttapietra di Verona.

La festa di compleanno di mia mamma è stata un successo, davvero indimenticabile! Il ringraziamento che le rivolgerò sempre, finché vivrà, è di avermi concesso, malgrado per me non sia stato facile affrontare tanti disagi, di vedere completata la mia vita, come figlio e come uomo. Poter seguire mia mamma, adesso che è anziana, con tutto quello che è successo e dopo 45 anni in cui non siamo potuti stare insieme, è comunque un onore, perché mi ha completato la vita.

Quando si può parlare di poesia nell'arte?
Quando l'arte si fa poesia?
Beninteso, la poesia che ho voluto dedicare a mia mamma e qui sopra pubblicata, non c'entra nulla con tutto questo. Qui si parla di arte che contiene la poesia, o se volgiamo di poesia presente nell'arte; non di poesia in senso letterale in quanto tale, in quanto, nel mio caso, desiderio misto a velleità personale di scrivere e dedicare una poesia a mia mamma.

Gli stati d'animo sono infiniti come infiniti possono essere gli intrecci che legano la poesia all'arte.
Le forme di poesia sono sono varie, come varie sono le espressioni artistiche. C'è una poesia forte fatta di messaggi, dura nel linguaggio, armonica nella forma, elegante comunque per la maestria linguistica e letteraria con la quale è stata scritta. Così è per l'arte. È uguale, non cambia niente. Io ci trovo la poesia anche nel barattolo di Manzoni, perché quella provocazione è piena di poesia, non di merda. È poesia l'urlo di Munch, per la stupefacente e sapiente impalcatura scenica, grafico-cromatica con cui è stato pensato ed eseguito quel capolavoro. La poesia è presente nell'arte quando l'arte non è solo una espressione artistica intesa in senso accademico, seppur bella e magistralmente eseguita, ma quando l'arte, unitamente alla prima parte, contiene anche una bella e magistrale esecuzione compositiva che emana odori, sapori e ideali tipici di un menù spirituale. L'anima è poesia, perché L'anima è lo specchio della poesia. Se nell'arte è presente anche l'anima, non importa la sua condizione di essere anima in quel momento, allora anche la pittura/l'arte, diventa poesia.
Agli intellettuali atei di sinistra, che tanto si spendono per fare bella figura affermando che l'anima non esiste e che il concetto di anima è inconsistente perché legato a concezioni teologico-religiose che nulla hanno a che fare con l'analisi razionale del pensiero critico-estetico dell'arte, rispondo che si sono persi per strada un pezzo fondamentale del loro sapere, perché il concetto laico e profondo dell'anima, inteso come elevazione spirituale soggettiva insita nella sensibilità più profonda e primaria di un artista, esiste, e allo studioso intellettuale laico di sinistra, checché se ne dica, manca.
Oltre dieci anni fa, in preda ai primi pruriti per volermi dedicare, a modo mio convintamente, anche alla scrittura, feci lo sbaglio di credere di poter scrivere poesie, o meglio, lo sbaglio colossale fu quello di scriverle. Sono stato un presuntuoso, in buona fede, con intento sempre nobile, sia chiaro, ma sempre ingenuo. Me lo fece notare l'amico filosofo e scrittore prof. Claudio Marchese, che all'epoca si interessò alla mia arte, e su quella mi fece tanti complementi scrivendo un articolo bellissimo su una rivista di cui ora non ricordo il nome. Alla mostra personale che feci a Milano mi comprò un bellissimo olio su tela, 40X70 cm, rappresentante un giovane seminudo inserito in un contesto molto verosimile: i canneti di Desenzano del Garda, così come erano dieci anni fa. Ricordo che feci leggere una raccolta di poesie di allora, era il 2011, e lui mi disse: apprezzabile l'impegno profuso, ma mentre sei un grande nella pittura, per la scrittura devi fare ancora tanta strada. Claudio, che in seguito ebbi modo di rivedere, prima che gli partisse completamente il cervello, aveva capito che la mia arte conteneva la poesia, mentre mancava la poesia nella mia presunta poesia. Non voglio ora fare la parte di quello che, risentito per questa frase, prova gusto nel parlare male di lui, peraltro deceduto nel 2018. No, non è questo, non è da me, ma che la sua contrarietà contenesse una sorta di ripicca, almeno in parte, per non essere stato capace di portare a casa “qualcosa di mio”, dopo che ci siamo visti a Milano varie volte alla libreria di Pier Pour Homme, zona navigli, visto il soggetto, visti e considerati gli usi e i costumi suoi, in linea con le tendenze del “settore”, che non sono i miei, visto e considerato che nell'ambiente la cattiveria, la maldicenza, la ripicca, l'invidia, sono comodamente di casa, qualche dubbio sulla sua lapidaria sentenza, mi era venuto. A onor del vero, però, volendo dimostrare di non essere un bambino capriccioso che se la lega al dito senza averci riflettuto sopra, un esame di coscienza letteraria me lo sono fatto più volte. Questo episodio, al netto di ogni considerazione, mi ha fatto capire che quando si prende una legnata in testa, dopo aver assorbito il dolore, se si è fatto tesoro della legnata, se ne viene fuori rafforzato, e umilmente più modesto e saldamente appoggiato coi piedi per terra. In poche parole, sbollita la ramanzina, ci si riflette su, si cerca di capire, non ci abbatte mai, ci si impegna ancora di più, e poi, ad un certo punto, si esce allo scoperto, e sia quel che sia. Nessuno nasce completamente imparato, o no!?
Al di là di ogni considerazione, opportuna o meno che la si voglia intendere, quello che volevo dire è che da allora ho prestato più attenzione a quello che scrivo, anche se ribadisco sempre che quello che racconto con la mia scrittura è più un bisogno e un piacere mio di comunicare, che non di fare sfoggio di doti letterarie che non possiedo.

Ritornando alla poesia nell'arte, è indispensabile essere provvisti di un patentino speciale per riconoscerla, per apprezzarla, un patentino che si chiama “Conoscenza” di nome e “Sensibilità” di cognome. Con questo certificato in tasca, si può girare il mondo dal vivo o sognandolo dentro un carcere, non importa. In ogni posto che si andrà, da liberi o da prigionieri, la poesia nell'arte quando è presente si manifesta a tutti. La poesia nell'arte, quando è presente, la si nota subito, perché in essa è lo stupore e la meraviglia per l'eleganza sopraffina – conoscenza – e l'atmosfera – sensibilità - che ne deriva. Fosse anche per la sensazione di percepire il suo profumo, come accade quando percepiamo di sentire vicino a noi la presenza di alcuni santi; fosse anche solo per l'idea straordinaria di percepire il profumo di una merda d'autore ben concepita e confezionata. Questa è la poesia nell'arte.

Un bambino nato fuori dal matrimonio era un vero scandalo a quei tempi (i miei tempi); ebbene io sono scandalosamente vivo e orgogliosamente felice di essere figlio di uno scandalo.

Ma andate tutti a cagare!

Anche questa è poesia all'interno della mia arte. Dico le parolacce, chi se ne frega. Sono scurrile nel linguaggio? Chi se ne frega! Guardate oltre, andate oltre, siate sempre un passo avanti con lo sguardo rivolto dritto davanti a voi. Non guardate dove camminate e cosa calpestate, puntate sempre lo sguardo all'orizzonte che poco importa cosa vi lasciate sotto le scarpe una volta che avete fatto un nuovo passo in avanti. Questo è:

Il profumo della vita

Nato per sbaglio
Tenuto per paura
Cresciuto con amore
Rifiutato e rimpianto, per errore
Maschera di madre arlecchina
Solo contro tutti
Attore di ruoli mai chiariti
Senza arte né parte
Sempre un po' coglione
Ma felice di questa croce
Allegro e andante, ma non troppo
Chi sono io, chi sei tu
Donna fragile che ignora
Questa terra assetata di sangue e di sesso
Tra una preghiera e una scopata
Per amore o per diletto
Di nuovo figlio: Ecco tua madre
Di nuovo madre: Ecco tuo figlio
Il sipario è ancora aperto, con difetto

In troppi seguono le mode per apparire, con qualunque mezzo, compiacendosi di questa omologazione. In pochi seguono le mode dell'apprendimento, ma non si è più apprezzati per questo. Chi studia e apprende è strano, chi si esibisce è diverso. Se sei strano non conti nulla, se sei diverso sei apprezzato e tutelato dalla legge. Io, davvero non ci capisco più un cazzo!

Il più bel complimento che mi si possa fare è quando mi si dice che non sono normale. Se a dirmelo è una persona molto normale, allora mi sento orgogliosamente diverso. Adesso ci si fanno problemi nel dire che si è diversi, e il politicamente corretto ha portato a sdoganare sul palco di Sanremo – tutto fa brodo ormai - che è meglio dire che si è “unici”, non diversi. Ma essere o sentirsi diversi, a me personalmente non crea nessun problema. Io sono realmente diverso da tutti gli altri, se poi sono anche unico, beh, questo non lo so; ma di essere diverso da te , da lui, da loro, da voi, quello sì che lo so. Io sono diverso da tutti voi, punto! Quale è il problema?

Perché fa paura la diversità? Per una mancanza di regole e abitudini sociali che non sono ancora riuscite a risolvere questa questione, non di genere, ma delle personalità degli individui in generale? Deve essere un principio sacrosanto quello di accettare e normalizzare le diversità degli esseri umani. E' sbagliato, al contrario, voler normalizzare la normalità facendola passare per unica e vera possibilità di esistere. Questo non è più un problema mio, nel senso che non sta a me risolvere le questioni morali e sociali a livello globale. Io mi occupo, semplicemente, di dire quello che penso, di comportarmi di conseguenza, e di non negare mai la paternità delle mie azioni se queste dipendono dal mio volere; questo mai!

Continua la favola con il centrino di mamma Enrichetta. Se penso a quella volta, quasi un anno fa ormai, che in camera da letto mia mamma mi voleva dare i suoi centrini da usare, da mettere di qua e di là sui mobili, e io, dopo averle detto che non si usano più, aprendolo, con la luce che entrava dalla finestra e che lo illuminava da dietro, ho avuto questa illuminazione. Bisticcio di parole a parte, è andata così. Ho avuto per davvero una sorta di illuminazione perché in quel momento, quel centrino, non era più un centrino e basta, ma diventava un'idea, un simbolo, un concetto. Apparentemente potrebbe sembrare tutto molto banale, ma solo apparentemente. In realtà è tutto molto più complesso e sofisticato quello che ho provato in quel momento, diciamo pure indescrivibile, se non per sommi capi, come ho qui riassunto. Una folgorazione divina mi verrebbe da dire, tanto è stato intenso e, artistico a suo modo, come tutto questo è accaduto. E questa è poesia allo stato puro.

Quando ascolti una bella musica e mentre l'ascolti chiudi gli occhi e la tua mente si mette al lavoro, inizia un percorso vero e proprio che comprende con l'ascolto il percepire sensazioni che si traducono in immagini, in forme e colori anche senza un senso compiuto: sensazioni appunto. Tutto questo genera uno stato di benessere generale, perché alla base di tutto questo benessere c'è l'armonia, la sapienza compositiva, l'equilibrio tra forma – suoni - e colore – sensazioni -. Ecco fatto, quando si genera tutto questo dentro una musica, una bella lettura, un bel dipinto, una bella poesia, tutto questo “ben di Dio” diventa - Opera d'Arte - e quell'opera d'arte diventa – Poesia -. Tutto ciò che non genera poesia, non genera stupore, non genera armonia, non genera emozioni. Tutto ciò che non ti fa battere o vibrare niente, non è niente.

In una vecchia intervista su Rai News 24, Alda Merini affermava, a proposito dei manicomi e dei ricoveri per persone con problemi psichici, che la follia non esiste, esiste il disagio mentale e ambientale, ma non esiste la follia.
Alda Merini, per favore, non mi tocchi la follia. La follia esiste, per fortuna la follia esiste, eccome se esiste. Cosa sarebbe la vita se non ci fosse anche – non solo un pizzico - la sana follia che ci accompagna nel lungo, ma sempre troppo corto viaggio che facciamo su questa minuscola pallina che ruota su se stessa, in questo immenso e sconfinato universo, chiamata Terra?

Se non ci fosse la follia, non esisterebbe l'arte più eccelsa. Follia buona, follia sana, follia che ci aiuta a tirar fuori il meglio che c'è dentro di noi; un meglio sempre troppo nascosto e misterioso che, senza la follia, non uscirebbe mai fuori impedendoci di esprimere il meglio che sta nascosto dentro di noi. E' la follia che salva la vita di un artista, è la follia che sublima la vita di un artista, è la follia che ci portiamo dentro fino alla morte che ci rende orgogliosi di aver donato/sacrificato la nostra vita per l'arte. E' la follia che ci distingue da chi non ha saputo o voluto vivere da folle. Chi non è mai stato folle, non può dire di aver goduto appieno il miracolo della vita, il miracolo dell'arte.

P.P.PASOLINI: ”La poesia non è un bene consumabile. La poesia non si può produrre, vedere e consumare per trarne un profitto in merito. La poesia si produce ma dalla poesia non si traggono benefici economici.”
No Pier, non è proprio così. La tua è come sempre una bella spiegazione che ammalia il pubblico colto, ma resta una spiegazione sempre ideologica ed elitaria; borghese, perfino. Il tempo che ci separa, in parte giustifica questa tua narrazione – oggi va di moda dire così -. Oggi tutto è mercificabile, tutto è e fa profitto, compresa la poesia. Se poi ci vogliamo fermare a considerare la qualità e la varietà delle poesie prodotte, allora qui si apre una parentesi molto significativa. In un mondo, quello di oggi, in cui tutto si riesce a mercificare, anche la poesia può trovare il suo bacino di fruitori, di paganti, non più borghesi nel senso che intendevi tu, ma preparati per quel minimo che basta, questo sì. Che sia per questo che si vuole togliere il merito nelle scuole, il voto, ogni forma di giudizio che esprima, anzi, che certifichi senza equivoci che quella persona o cosa che sia, è meritevole di lode, oppure che quella persona o cosa che sia, deve lavorare ancora per meritare la lode. Ma di cosa stiamo parlando? Di questo passo cosa si insegnerà a scuola per far capire - a tutti – cosa è bello e cosa è brutto, cosa merita di essere osservato per trarne un piacere e cosa non merita il nostro tempo. Chi e cosa merita qualcosa, ce lo dice come il “chi” e il “cosa” sono, si manifestano. Regole e parametri, libertà e paletti, raffinata sregolatezza, equilibrio espressivo, fanno di una persona e di una cosa un'espressione che si manifesta, ciascuna attraverso il proprio campo, in una forma inconfutabile di poesia. E questo, questo “ben di Dio”, genera, o può orgogliosamente generare profitto. Dove sta lo scandalo in un mondo, quello di oggi, dove tutto è scandalosamente bandito e condannato, ma accettato e consumato allo stesso tempo?

Oggi chi comanda non è più la poesia, il bel dipinto, la bella musica, la bella letteratura, il bello è sempre stato e sempre sarà una cosa rara. Oggi comanda il profitto, e il profitto decide se una cosa o una persona – messi sullo stesso piano – sono belli o brutti, buoni o cattivi, meritevoli o meno, in quanto generano o possono generare profitto. Più si abbassano le “pretese” di volere cose e persone belle – ben fatte -, più aumenta la possibilità di stare sulla piazza del mercato; sempre più un mercato di sole vacche. Più merce disponibile, più profitto, più denaro, più corruzione, più di tutto e meno di bello, meno di ben fatto, meno di buono.
Perché la pittura, la bella e nobile pittura è forse un bene consumabile? In teoria no, ma in pratica sì, da sempre. Così è per la musica, per la letteratura, per il cinema, il teatro. Da sempre la colta teoria ha fatto a pugni con la cruda realtà.

L'intensità – purezza e nobiltà d'animo – nell'arte genera poesia. Anche quando nell'arte “l'intensità” sembra assumere una valenza di aggressività, di cattiveria e di rabbia perfino, se ben orchestrata, se fatta/usata con sapienza, genera poesia.
La poesia, nell'arte, non è necessariamente sinonimo di leggerezza o di semplicità compositiva, per quanto armonica e ben fatta, al contrario. Più è forte e intensa la gestualità, l'espressività che personalizza e caratterizza il soggetto – artista -, più risulta forte e intensa la sua poesia.

Sento troppi giovani ventenni già proiettati sotto i riflettori della pubblica notorietà, affermare che la loro arte rappresenta la loro storia, la loro sofferenza, il loro vissuto, e rispecchia inoltre la realtà in cui si trovano a vivere; loro malgrado aggiungo io.
Ora, fermo restando che si può benissimo aver già sofferto molto a vent'anni e non avere mai sofferto a ottanta, io mi chiedo cosa sto ancora cercando e aspettando per affermare, senza farmi più tanti scrupoli, che la mia sofferenza porta sulle spalle oltre sessantaquattro anni di compiti fatti ed esami superati brillantemente.

Le frasi belle non dette, sono considerate sprecate solo per gli altri, per me restano i pilastri fondanti della mia inossidabile dignità.

Col mio “silenzio artistico” esprimo meglio tutto ciò che non ha più senso dire con le parole. Tanto, ormai...

Con la solitudine e la meditazione ho più tempo libero e cose belle da distribuire a tutti.

Accantonare il pensiero, spesso, permette di esprimersi con maggior scioltezza perché le parole escono con più facilità, non importa come. Io non ne sono capace.

Finisco oggi questo racconto, quando è già terminato da un mese il “22/7”, di cui andrò questa sera, sabato 17, nello Studio Fotografico di Marco e Massimiliano Bravi per fare qualche scatto. Per la performance del “22/7” ho voluto coinvolgere mia mamma, alla quale ho già chiesto il suo consenso, che mi ha subito dato, pur anticipandole a quale genere di foto si sarebbe dovuta sottoporre. Mi verrebbe da dire che, indirettamente e del tutto in buona fede, l'ho costretta, perché sapevo che mi avrebbe detto di sì, un sì incondizionato il suo. Sono consapevole che adesso lei sarebbe disposta a fare di tutto. Inutile dire che alla base di questa sua incondizionata e totale disponibilità nei miei confronti ci sta il fatto di volersi, in qualsiasi modo, discolpare per la sua assenza; e questo ci sta, si capisce molto bene. In ogni caso voglio dare a questo progetto, di cui ne sono pienamente convinto e fuori da ogni altra considerazione qui accennata, una valenza solo ed esclusivamente con finalità artistica, e sarà una cosa molto bella, molto intensa. Classico esempio di come ci si diverte lavorando, perché, per non essere ipocrita, in questo progetto c'è molto di artistico e poco di affettivo. Poi, che nell'arte ci si ricami sopra di tutto e di più, perché così facendo i ricami gettano un velo di mistero, di vedo e non vedo, di dico e non dico e di sento e non sento, per vedere, dire e sentire alla fine anche quello che non c'è, per giustificare l'ingiustificabile – non credo sia il mio caso -, questa è un'altra storia.

Madre: Ecco tuo figlio Figlio: Ecco tua madre