LA LUCE ROSA 18/3


Raccontato dall'autore

Domenica 1° aprile 2018, pur essendo la domenica di Pasqua e con il primo bel sole che pareva annunciare la tanto sospirata primavera, falso allarme, ho deciso di rimanere chiuso in casa e dar corpo alla terza versione di “La luce rosa”. A proposito di rimanere spesso e volentieri in casa, ricordo di essermi preso qualche anno fa del demente, giusto da una zia, tanto per cambiare, che non si capacitava di comprendere perché io stessi tanto tempo chiuso in casa invece di uscire a fare una passeggiata fino alla statuetta di una insulsa madonnina posta su un grande e insulso albero nel bel mezzo di una strada sterrata altrettanto insulsa, che collega, l'insulsa località Dossi di Caselle di Isola della Scala, dove io ero suo ospite e dove per un anno ho vissuto, con il paese di Raldon. L'alternativa era di uscire di casa e fare una passeggiata tra insulsi campi di granoturco, magari facendo rumore per allontanare gli uccellini che avrebbero depredato il raccolto (Dio mio, perdona loro perché non sanno quello che fanno), o, nella peggiore delle ipotesi, starmene in cortile seduto su una rudimentale e insulsa panca a spettegolare con la zia del più e del meno, con l'obbligo, ovviamente, di darle sempre ragione. Ho avuto il coraggio di tenere duro, di rimanere chiuso in casa a dipingere pur sapendo che per questi parenti, e non solo questi, io ero e sarei rimasto il nipote demente che si comportava in modo del tutto strano e anomalo. Se io avessi buttato via gran parte del mio tempo andando in giro a visitare statuette votive di gesso, campi di mais e scacciando via gli uccellini, o a spettegolare del niente e con l'obbligo di sputare veleno su tutti, ad oggi non avrei fatto nemmeno uno dei lavori che sono riuscito a fare in quel periodo, compresa l'ultima personale di pittura a Desenzano del Garda. Ricordo che quando questi zii mi chiesero se avessi venduto qualcosa, pensando che non avessi venduto nulla, ovviamente, perché in questo caso avrebbero trovato il pretesto per insultarmi dicendomi che stavo buttando via il mio tempo, quando risposi che avevo venduto ben sei quadri, rimasero impietriti e ammutoliti d'invidia sicuramente, e pieni di rabbia. Mi chiesero subito se avevo verificato che i soldi ricevuti erano veri o falsi, e con questa che la dice lunga, chiudo questa parentesi di insulsa cattività parentale. Un periodo da dimenticare, da cancellare dalla memoria. Il tempo passa, ma esistono ancora tante realtà che sono davvero rimaste ai margini anche della più sparuta idea che ci si possa fare della civiltà e del progresso, almeno per come lo intendiamo noi ai nostri giorni. “Non c'è mondo fuori dalle mura di Verona”, scrisse Shakespeare. No, un mondo c'è eccome, anzi, ce ne sono tanti di mondi fuori dalle mura di Verona, e per trovarli basta uscire dalle nobili porte della città e fare pochi passi, e si trovano ancora mondi che appartengono al passato remoto, e che a fatica si immagina di trovare ancora vivi e vegeti ai nostri giorni. Ecco che ti ritrovi case piene di statuette sacre e santini sparsi dappertutto, crocifissi sugli ingressi e rami di ulivo ormai scaduti ma pur sempre benedetti e che potrebbero perfino essere originali, sì quelli di quell'orto là. Preti che vengono a dire messa nel mese di maggio ai quattro cani rimasti, divieto assoluto di dire parolacce o di nominare cose che hanno a che fare col sesso. Divieto di pronunciare la parola Dio, se non per pregarlo e adorarlo, con scomunica assicurata per chi osasse metterlo in discussione, e per fortuna oggigiorno non si brucia più nessuno per questo. Proibito parlare della pedofilia tra il clero, dentro le canoniche delle chiese. Tutti sanno che esiste, eccome se lo sanno, ma meglio non parlarne, meglio far finta di niente, pena sentirsi tirar fuori inaudite e microcefale giustificazioni che ti rivoltano lo stomaco solo a sentirle. Come microcefali erano gli argomenti che mi raccontava estasiata la cara zia, dopo essere andata in pellegrinaggio a Medjugorje per pregare la fantomatica “Signora”, affinché facesse tornare insieme la figlia ripudiata dal marito. Roba da matti! Qui sì che si manifesta per davvero la vera demenza.
La gente deve capire, dopo essersi fatta i cavoli propri – aridaje -, che quando sono felice io, devono essere, volenti o nolenti, felici tutti. A maggior ragione se si tratta di parenti, ma si sa, coi parenti per me è sempre stata una battaglia persa, una battaglia troppo impari. L'ignoranza è sempre vincente, figuriamoci quando si offre un'assist come quello che ho offerto io nel bel mezzo della campagna veronese, rimanendo chiuso in casa a dipingere. Perché ho voluto uscire un po' dal seminato e raccontare un piccolo spaccato della mia variopinta vitozza (vita+tavolozza)? Per la semplice ragione che siamo tutti, non solo il prodotto di quello che mangiamo, ma anche il prodotto di quello che respiriamo, sentiamo vediamo, studiamo, e per il quale costantemente combattiamo, sì combattiamo. Ritorna spesso questo verbo quando ci si trova maledettamente a confrontarci con i nostri simili, gli animali. Verbi come sbranare, imbrogliare, prevaricare, minacciare, ferire e uccidere, sono parte di un unico DNA che accomuna tutti i primati, e non solo. A dire il vero la mia felicità è un tantino adombrata da una latente malinconia (stato d'animo di vaga tristezza, spesso alimentato dall'indugio rassegnato o addirittura compiaciuto – ahimè -, nell'ambito di sentimenti d'inquietudine o delusione), spiegazione questa che mi ritrae perfettamente. Questo è, e me ne sono fatto una ragione tempo fa imparando a rassegnarmi compiaciuto, come da manuale. Imparando, col tempo, a guardare il più possibile anche il lato positivo della vita. Questa la terapia che mi ha guarito, che mi ha forgiato e rafforzato come il dio Nettuno non avrebbe saputo fare di meglio. Finché corpo e mente mi sorreggono, non mi lamento, e, rassegnato e compiaciuto, lavoro sodo e vado avanti, concedendomi pure di tanto in tanto, il lusso di alzare la testa.
Quello che per molti potrebbe sembrare banale, inutile, e perfino arrogante, magari decontestualizzato dal motivo per il quale siamo qui a raccontarcela di arte, ebbene si sbagliano, e di grosso. A loro dico, che il sottoscritto fino all'età di trent'anni, forse più che meno, si vergognava di mostrarsi in pubblico, mi sentivo a disagio, impacciato, e ne soffrivo tremendamente. Aver imparato ad alzare la testa ogni tanto, mi ha solo portato ottimi benefici, anche in ambito artistico. Peccato che ci sia ancora qualcuno che non capisca il nesso che c'è tra l'essere e il fare. Ora, quando è il caso, lo faccio, alzo la testa e faccio l'arte che voglio e che intendo fare io e solo io. E quanto bene tutto questo mi faccia, è cosa difficilmente descrivibile. Fatta questa premessa, direi di riprendere da dove ci siamo lasciati l'ultima volta, vale a dire citando nuovamente uno stralcio dell'analisi che Geoges Clemenceau fornì a proposito della serie delle cattedrali di Monet: “il pittore ci ha dato l’impressione che avrebbe potuto, che avrebbe dovuto farne cinquanta, cento, mille, tante quante i secondi ancora concessi alla sua vita". Analisi acuta, intelligente, visti gli strepitorsi risultati ottenuti da Monet.
A me sembra tutto molto chiaro, e anche a me è venuta voglia di portare avanti la lettura di questa storia, "La luce rosa", che via via si trasforma sempre più in una sorta di puro esercizio estetico. Oserei perfino azzardare l'uso della parola "poesia", almeno questo è quello che provo e che sento io, quando guardo e riguardo quello che faccio. Quando quello che fai ti soddisfa e ti appaga e quando guardando quello che fai ti sembra di sentire una musica e ti senti bene dentro al limite della commozzione, beh, per me, in questi casi, sei davanti ad una poesia. Un sfida questa, solo apparentemente finalizzata alla pura composizione estetica, esercizio appunto, ma con dentro molto altro. Infatti per me non è ancora possibile non associare a queste nuove letture una componente di amara verità storica, che mi riaccende ogni volta un comprensibile e profondo sdegno unito peraltro ad una sincera e convinta comprensione. La comprensione di una società, di tante società, smembrate dalla prima guerra mondiale, in totale crisi culturale, economica e identitaria, con tanta voglia dentro, mista a rabbia, di un'esemplare vendetta e rivincita su tutto e su tutti.
Ecco come intendo io la mia comprensione verso l'animale uomo. Vi avverto, non provateci nemmeno lontanamente a provocarmi su ciò che sto dicendo con inutili e fuorvianti strumentalizzazioni, facendo finta di non aver capito, non attacca, non funziona. Qui stiamo parlando seriamente, non stiamo giocando con la bella e nobile filosofia o con gli intenti affascinanti e pure nobili delle religioni, cercando di trovare inutili e sciocchi escamotage per intavolare estenuanti e logoroicche discussioni sul nulla. Sarebbe davvero disgustroso e inaccettabile. Facciamo i seri per una volta, e non prendiamoci in giro con le solite inutili stupidaggini, qui stiamo parlando di evoluzione. Non provateci a mettere a dura prova la mia povera intelligenza, che, per limitata che sia, c'è e gode ancora di una discreta salute.
A conclusione di tutto, dico da artista, che non posso non beneficiare di alcuni lati esteticamente piacevoli che il tema qui affrontato mi ha servito su un piatto, diciamo rosa, anche se tratti dalle peggiori esperienze umane. L'artista sa tradurre in bello anche il brutto, il male in bene, e il male, a volte, lo cerca e lo giustifica, da artista s'intende. Vista così, la vita, la storia, tutto prescinde da una semplicistica e ipocrita visione apocalittica da Giudizio Universale, e tutto si giustifica, tutto si mescola e tutto convive. Tutto è fluttuante perché tutto, e dico tutto, fa parte del pacchetto regalo ricevuto in dono da Madre Natura. Di sicuro questo miracolo si compie in tanta arte moderna e contemporanea, nella musica soprattutto, forse un po' meno nella letteratura, di sicuro è presente nella poesia. Dentro "La luce rosa 18/3" si materializza un notturno pieno di silenzi, silenzi che ti stordiscono, tanto sono assordanti, e ti squarciano il corpo, tanto sono dirompenti. Questo è il notturno che nessuno di noi vorrebbe mai sentire, che non vorrebbe mai vivere, quando cala la notte.
Mamma, dove sei, perché non sei qui con me?
La luce può essere di mille colori, ma quando la luce è rosa, allora la luce è la luce più bella che c'è.
Oggi è il 25 aprile 2018, ed io l'ho dedicato tutto, anima e corpo, nel portare a termine questa appasionata lotta. Anch'io, nel mio piccolo, mi sento un po' partigiano, demente e partigiano. E non finisce qui!...