Natale 1958, il piccolo Mauro Pio Dossi in braccio a Silvia Salvagno, meglio conosciuta affettuosamente a Verona col nome di “Mamma Silvia” nella casa da lei fondata, in Stradone Antonio Provolo a Verona. In questa casa “Mamma Silvia” dava accoglienza e sostegno alle ragazze madri e qui, difronte all'Istituto Salesiano Don Bosco, Mauro resterà per sei mesi prima di trasferirsi con la mamma dai nonni materni nel bel mezzo della pianura mantovana vicino a Goito. Nel 1960, dopo il matrimonio con Giuseppe Pavan e il riconoscimento del piccolo Mauro Pio Dossi, certificato nel 1963, si aggiunse il cognome di Pavan che sostituì quello di mamma Enrica. Il nuovo papà morì tre anni dopo il matrimonio, ma lasciò in eredità il suo cognome che Mauro, ancora oggi, porta con affettuosa gratitudine.
Foto riportata dal settimanale Confidenze del gennaio 1960.
Il 9 marzo 2021, verso le 15.30 circa, mentre mi trovavo al lavoro, mi chiama mia mamma, la quale non si ricorda mai gli orari in cui chiamare e quindi lei va a ruota libera ormai, povera donna, adorabile donna. Ma questa è una cosa molto bella, che percepisco con tanta tenerezza e amore vero. Le racconto della foto pubblicata sperando che si ricordasse anche lei, e sapete cosa ne è uscito da quella telefonata? Ascoltate bene cosa mia mamma si è ricordata, cose, aneddoti di cui non sapevo assolutamente niente, e che ho saputo per la prima volta, a 62 anni. Alla fine del racconto mi sono commosso ed ho pianto, ho pianto d'amore per lei, per mamma Enrica.
Mi dice: ma è quella foto con “Mamma Silvia” che tiene te in braccio e sotto c'è Robertino che voleva salire in braccio anche lui. Robertino? Chi è Robertino, mi chiedo io con vero stupore, visto che non avevo memorizzato nessuna figura di bambino che fosse evidente nella foto. Ebbene, mia mamma che non vedeva quella foto da almeno quarant'anni come minimo, si ricordava perfettamente che quelle manine che spuntano dalla parte bassa della fotografia e che sono rivolte verso l'alto verso “Mamma Silvia”, sono appunto quelle di Robertino. Robertino era nato sempre lì in casa qualche tempo prima di me e, sempre con mio stupore, e con la gioia di mia mamma nel sentirsi coinvolta in quel lontano ricordo, iniziò a raccontarmi la storia di quel bambino. Io ero emozionato, avevo la pelle d'oca e ascoltavo davvero in silenzio e concentrato cercando con la fantasia di andare a ricostruire la realtà di quella storia, certo, in bianco e nero, come la foto qui pubblicata. Mia mamma aveva conosciuto in quella casa rifugio per ragazze madri, questa giovane donna, più giovane di quattro o cinque anni, e parlando del più de del meno, raccontandosi entrambe le loro storie, si è scoperto che quella ragazza, la madre di Robertino era originaria di Rovereto e si chiamava Pierina. Figuratevi che mia mamma era di Cornè, una frazione di Brentonico, davvero molto vicino a Rovereto. Ma il bello deve ancora arrivare. Questa ragazza racconta com'era rimasta incinta, e inizia a descrivere quest'uomo, originario di Cazzano, una frazione sempre di Brentonico. Avendo la famiglia di mia mamma, la famiglia Dossi appunto, cugini di primo grado a Cazzano, figli di una sorella del nonno Celestino, Margherita, a mia mamma è venuto spontaneo chiedere il cognome di quest'uomo. Ebbene, questo signore che aveva messo incinta Pierina di Rovereto, accolta a Verona nella casa di “Mamma Silvia”, era un certo Adelino, cugino di primi cugini di mia mamma, i Bianchi di Cazzano, frazione sempre di Brentonico. Mentre mia mamma ed io siamo andati via da Verona nel febbraio del 1959, dopo aver compiuto i sei mesi, questa ragazza è rimasta in quella casa per due anni, finché il padre di lei, per non sollevare scandali, per la vergogna visti i tempi, non le trovò un marito. Da quello che ricorda mia mamma sembra che alla fine questa storia sia finita bene, nonostante tutto. Lei ebbe altri figli e si spera abbiano vissuto tutti felici e contenti.
I contatti per creare le coppie tra le ragazze accolte in casa da “Mamma Silvia” con uomini che dimostravano interesse per una di queste donne e che fossero ben convinti e intenzionati ad accoglierle, spesso ancora molto giovani, già madri, a questo ci pensava sempre lei, “Mamma Silvia”. Così fu anche per mia mamma che si vide arrivare nella frazione di Goito dove in quella grandissima corte – non posso non ricordare il film di Bertolucci “Novecento” -, abitavano la famiglia dei miei nonni e quella del fratello del nonno Celestino, credo per un totale di circa una trentina di persone, un uomo con la Vespa, un uomo mandato da “Mamma Silvia”. Erano dei piccoli paesi quelle corti rurali a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta. Piccoli paesi e, come nelle migliori tradizioni di paese, la gente, i parenti ancor di più, mormorano, e nessuno deve sapere; meno si sa e meglio si sta. Una volta trasferiti nei pressi di Goito, in località Maglio, mia mamma non seppe più nulla di quella ragazza, di Pierina, la mamma di Robertino. In questo periodo lei invece conobbe Pino, Giuseppe Pavan che da Grole, frazione di Castiglione delle Stiviere, con la Vespa veniva fin qui a trovarla, messo su questa strada sempre da quella santa donna, da tutti conosciuta affettuosamente come “Mamma Silvia”. Nel 1960 mamma Enrica e papà Giuseppe si sposarono, di quel matrimonio, grazie alla primordiale esperienza in materia di fotografia di chi fece quel rullino di scatti, alla fine non uscì nemmeno una fotografia. Giuseppe Pavan morì nel giugno del 1963, mentre tornava a casa da Brescia, dove lavorava. E' morto a causa di un'auto che lo investì mentre attraversava la strada per tornare a casa dalla sua famiglia, dal suo Mauro, dopo essersi fermato a comprare un'anguria lungo la strada del ritorno, nei pressi di Montichiari. Fu ricoverato in ospedale a Castiglione, poi lo dimisero e, in seguito, per un'embolia, morì. Ricordo che il fratello Renzo, mio zio, venne a prendermi con un camioncino anteguerra a Raldon, in provincia di Verona, dove i nonni si erano trasferiti dal mantovano. L'ultimo ricordo di papà Giuseppe fu quando era steso sul divano in cucina, un divano rivestito di plastica con grandi fiori colorati, e lui, come si usava in questi casi, vestito di nero. Sul retro ricordo anche che lo zio Renzo mi portò a bere qualcosa, non ricordo cosa, ma ricordo che c'erano per gli adulti le birre. I Pavan sono sempre stati più avanti dei Dossi, ancora troppo ancorati alle abitudini dell'isolamento montano. Le birre in casa di nonno Celestino arrivarono circa 7/8 anni dopo. Credo che i bravissimi registi Pedro Almodovar e Ferzan Ozpetek avrebbero saputo trarne un film all'altezza della loro fama, con un copione già scritto apposta per loro .
Tante volte mi sono chiesto chi sarei oggi, se papà Giuseppe Pavan fosse ancora vivo, che famiglia sarebbe stata la nostra se Pino non si fosse fermato a comprare quell'anguria.