Opera 19/1


Raccontato dall'autore


LA TRASCENDENZA SCIENTIFICA - Si volta pagina, si chiude una stagione e se ne apre una nuova. Si, un'altra, con la speranza che possa festeggiarne altre, prima che la morte mi impedisca di ragionare all'infinito. L'età è matura ormai, dietro mi lascio l'asprezza, la durezza spavalda e un po' sciocca di chi si crede maturo anzitempo. Oggi cammino ancora su due gambe e riesco anche a correre di tanto in tanto, pertanto, voglio che questo cammino, che sarà ineluttabilmente breve, sia spavaldamente intenso e proficuo. Nel mezzo del cammino della mia vita, ci sono giunto ora, appena in tempo per essere dentro una media anagrafica che si possa ritenere ancora valida. Di questo ne sono orgogliosamente consapevole. Con questa consapevolezza vivo quotidianamente la mia vita.
Mi avvarrò di alcune citazioni in questo racconto, citando le fonti, così, giusto per non sentire un'ambulanza che, a mia insaputa, venga a prelevarmi a sirene spiegate. Magari chiamate proprio da voi, nel rispetto delle migliori tradizioni e dei più famosi tradimenti all'italiana. Mi prendo in ogni caso il merito di trarre, da questo miscuglio di idee, pensieri e parole, una sintesi per capire meglio, insieme a voi, l'infinità di spunti, non sempre facili da elaborare, che portano un uomo del mio tempo, che non si vuole piegare al copia e incolla, ad elevarsi col pensiero e l'anima ad un livello superiore. Questo livello superiore si chiama astrattismo. Per arrivare all'astrattismo bisogna fare un passo ulteriore, sempre impegnativo e faticoso, che dallo stato liquido e solido ti porta a quello gassoso. Uno stato in cui mancano gli odori e i sapori e prolificano sensi e stati d'animo come poesia, libertà, profumo, musicalità, riflessione e tanta meditazione, umiltà, amore, serenità interiore e distacco da tutto ciò che è materialmente effimero. Diventare un pittore astratto, nel mio caso, significa voler andare a ficcare il naso là dove non è concesso ficcarlo. Significa voler esplorare proprio tutto, al di là del conoscibile, e per fare questo è necessario lasciare questo mondo per andare ad esplorare mondi non ancora conosciuti. Andare oltre, di là e di qua, di giù e di su, quello che è certo è che ci si deve muovere, spostare, abbandonare il vecchio per esplorare il nuovo. Ecco che, sempre con parole mie, sempre in maniera un po' rozza e spicciola, sto cercando di farvi proiettare dentro una realtà nuova, che nulla ha che vedere con la realtà che siamo abituati a considerare reale. Non credo che a Dio faccia molto piacere sapere che uomini curiosi e cocciuti ( artisti e matti vari al seguito ), nutrano il desiderio di avvicinarsi a Lui per accamparsi nei paraggi Suoi. Comunque Lui la pensi, comunque Voi la pensiate, benvenuti nell'aldilà. Benvenuti nel mondo della felicità eterna, della pace dei sensi. Qui, in questi nuovi mondi, vivrete in eterno, siederete accanto all'Altissimo in eterno, e avrete accesso ad un nuovo e ancor più grande universo, l'universo della creatività felice e priva di dolore. Una sensazione indescrivibile, un'emozione che potrebbe spaccarti in due il cuore e la mente. Ma noi ci aggrappiamo di quello che andremo a scoprire insieme ora, perché noi siamo ancora vivi e la nostra transumanza non è ancora terminata. Per ora, la trascendenza definitiva ed eterna, resta una lezione di vita teorica, la scuola, per noi, continua.
Allacciatevi bene le cinture, si parte per una destinazione ignota, chiamata “Trascendenza”. Tenetevi ben aggrappati ai vostri principi, mettete nello zaino solo l'indispensabile e lasciate a terra tutto il resto che non serve a nulla. Ora si parte, i motori sono accesi, la bussola c'è, la destinazione anche. La destinazione non è il Paradiso, ma in ogni caso è sempre lassù, in alto, come ci indica il dito di Platone dipinto da Raffaello in Vaticano.

CERCANDO LA VERTIA' - Dialegesthai. Collana di ricerche filosofiche, diretta da Emilio Baccarini e Giovanni Salmeri.
Franz Rosenzweig: Nell'autentico dialogo qualcosa accade sul serio.
Autenticità in quanto naturale espressione di istintività consapevole e autogestita, anche con eccessivo fervore e, per questo, vera, credibile, e maestra, aggiungo io.
Riprendendo l'antico termine dialegesthai («dialogare») come titolo di questa collana, in continuità di ispirazione con la rivista di filosofia on-line, vogliamo ripetere, da un lato, l'esigenza del rigore argomentativo del discorso vero proprio della filosofia, ma dall'altro, anche, ascoltare la vita e quindi ritrovare la dialogica prima della dialettica, che significa anche offrire una «testimonianza» della verità, non soltanto argomentativa, bensì come «passione personale» di ricerca della verità. Vogliamo situarci in questo spazio intermedio che oggi si presenta con un'urgenza nuova, in gran parte ancora da pensare, senza arroganza e senza la pretesa antidialogica di essere portatori di una verità semplicemente da comunicare. Vorremmo proporre una sorta di apologia della verità contro la certezza.
I versi iniziali e finali della cantica dell'Inferno testimoniano il dramma della "selva oscura " e la gioia di "riveder le stelle" che il grande poeta Dante Alighieri ha magistralmente affrontato, come – quasi - tutti gli esseri umani "nel mezzo del cammin di nostra vita".
Prendo spunto da questa frase introduttiva di questo illuminante libro uscito nel 2006 di Leonardo Angeloni, ricercatore scientifico del Dipartimento di Chimica dell'Università di Firenze, per scrivere anch'io due righe su questo argomento, sulla maturità dell'uomo e cosa comporta averne coscienza. Non lo faccio in veste di accademico, lo faccio in veste, non meno importante ed autorevole, di uomo libero, nel senso che si esprime liberamente, con “passione”, appunto. Forse a voi sembrerà una cosa da poco, ma prendere coscienza che si è entrati nella fase matura, quella della vita di mezzo, non è cosa da poco, tanto meno cosa semplice da accettare. Non da oggi, e senza essermi prima preparato o aver letto nulla di specifico sull'argomento, semplicemente riflettendo come sempre e fin troppo faccio, ho iniziato, da un po' di tempo a questa parte, a prendere atto del fatto che giunti a metà del proprio cammino, dovendo tirarne le somme, ci si pone, inginocchiati umilmente ed onestamente, davanti alla Dea vita. Tutto questo inteso molto, ma non troppo, metaforicamente, sia ben chiaro. Non ci si inginocchia davanti a niente e nessuno, ma proprio nessuno, salvo inginocchiarsi davanti alla vita. E' nel pieno della maturità che ogni uomo pensante si pone quelle domande fondamentali che servono a dare un senso compiuto alla propria esistenza, certificandone la maturità avvenuta.
L'uomo - sempre pensante - del terzo millennio, a cui appartengo anch'io, non si sottrae a questo eterno dilemma che si ripropone costantemente e tanto più fortemente quanto più veloci sono le trasformazioni delle cose che lo circondano. Questa frenesia, la frenesia dei tempi odierni, divenuta ossessiva e compulsiva, di trasformazioni continue a cui a fatica si riesce a star dietro, non aiuta a riflettere, pensare, analizzare e ponderare con lucidità. Non ci si riesce perché manca il tempo per fare tutto questo. Vien voglia di mollare tutto, tanto si ha l'impressione che l'impegno profuso nel perseguire il bene, inteso come il meglio, non serva più a nulla. La tentazione di mollare tutto, di adagiarsi per lasciarsi trasportare passivamente immersi in un fiume privo di acqua e pieno di pecore, in maniera del tutto anonima, è forte e costante. Io stesso fatico per non lasciarmi travolgere da questa inarrestabile corrente, consapevole che prima o poi questa corrente travolgerà tutti. Forse, ma dico forse, io riuscirò a salvarmi prima che tutto questo accada, non per volontà o capacità mia, ma solo per questioni anagrafiche.
Immersi e travolti completamente in questi continui cambiamenti ci troviamo completamente sbilanciati verso nuovi traguardi e ci accorgiamo di aver perso completamente i vecchi punti di riferimento su cui ci eravamo basati precedentemente e, allo stesso tempo, non siamo in grado di distinguere i nuovi punti di approdo. I nuovi punti di approdo non sono tutti negativi per i giovani di oggi, che manco sanno di cosa stiamo parlando qui, ora, sono quelli vecchi, casomai, che risulteranno a loro estranei ed incomprensibili. I nuovi, invece, per i giovani di oggi, risultano sicuramente meno impegnativi e più facilmente spendibili nell'immediato, e globalmente più riconoscibili. Visto da questo punto di vista, mi vien facile affermare, banalmente, che chiudendosi una porta, forse, magari, si sta aprendo un portone. Ma se anche fosse, gran parte degli uomini che sono o che stanno arrivando nel mezzo del cammino della loro vita, non credo abbiano né la forza né la voglia di resettare tutto per ricominciare tutto da capo. O più semplicemente non è possibile ( la storia insegna ) visto che, quello che è stato, rimane e si contrappone a tutto ciò che è in continuo divenire. Per chi volesse provare perché sente di avere ancora forze nuove da spendere, il passo si fa inesorabilmente più lento, per paura di perdere completamente di vista la luce che ci ha guidato fin qui.
Le domande fondamentali che ogni essere umano si pone, ancor più e meglio nel mezzo della propria esistenza, sono sempre le stesse: chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo? perché e in che modo siamo qui? Ma forse la domanda in assoluto più gettonata e che tutti ci facciamo, senza aspettare di arrivare a metà del nostro cammino è: siamo qui per caso o siamo qui perché “qualcuno” l'ha voluto? E tutto quello che ancora non conosciamo dipende da un “qualcuno” o da un “qualcosa”? Le risposte che ci hanno dato tutti i filosofi hanno retto fino ad oggi, ma oggi hanno ancora senso tutte quelle risposte? L'anima che vive in noi e che si alimenta col pensiero che l'uomo è chiamato a coltivare ed esprimere, possibilmente al meglio, rimane sempre viva e in che modo è viva se questo pensiero non viene coltivato bene? E potremmo andare avanti così all'infinito, ma in questi casi ricordiamoci sempre di rispolverare la sapienza degli antichi greci che hanno affrontato la questione dandoci alcune risposte che rimangono valide e sono ancora lì sul podio, non ancora scalzate via da altro che, di sicuro, prima o poi arriverà. E di questo ne sono certo. La risposta a queste domande che si ripropongono sempre negli stessi vecchi termini, fin dalla più nobile e classica tragedia greca che li ha toccati e messi in scena tutti, non è mai la stessa, ma cambia, con il mutare – progredire - delle nostre conoscenze. Pertanto dobbiamo abbandonare l'idea cara a molti filosofi e teologi di cercare una risposta esauriente e definitiva valida per tutti, e prendere coscienza che le nostre risposte, tra l'essere esaurienti e l'essere strampalate, sono e saranno sempre provvisorie, mutabili e perfettibili. Anche di questo ne sono certo.
La soluzione del problema esistenziale è di tipo individuale poiché ogni individuo è chiamato a dare personalmente la sua risposta, ma allo stesso tempo è di tipo collettivo poiché le caratteristiche che accomunano il genere umano sono enormemente maggiori di quelle che contraddistinguono i singoli individui. Che ne dite, iniziamo il dibattito aprendo, anzi, spalancando le porte all'arte? Sì, con calma ci arriviamo!
Sulla base di queste considerazioni, molti si limitano a cercare delle risposte preconfezionate, proposte dai vari filosofi, teologi o scienziati, oppure dai vari santoni di grido – urlatori - che tanto vanno di moda oggi, molto più simili ai cosiddetti opinionisti che a veri intellettuali. Già, di veri intellettuali, oggigiorno, manco l'ombra, o quasi, pochi, rari. Altri cercano di dare delle risposte personali e innovative nel tentativo di avvicinarsi maggiormente alla verità e di superare le contraddizioni che, seppur evidenti, sono da molti ignorate e sottovalutate.
Oggi poi, con il mondo che va alla rovescia, dare delle risposte a domande ritenute importanti, se non fondamentali, non è di per sé impossibile, casomai è controproducente e perfino pericoloso. L'anarchia che si respira e dilaga un po' dappertutto, là dove su questo pianeta Terra si sono sviluppate tutte le più importanti scuole di pensiero, contrasta con tutto ciò che stiamo cercando di mettere insieme qui, dove, per fortuna, l'anarchia non riesce a far breccia, almeno per ora. Attenzione all'ipocrisia però, complice e alleata dell'anarchia. Unite, formano una sorta di muro invalicabile che si contrappone ad ogni tentativo alleato di formulare un sano pensiero etico.
Tutti questi ragionamenti sono pertinenti con questo lavoro che ho voluto chiamare “Opera”, in quanto “creatura” da me pensata e voluta, a cui, per mezzo di un soffio, ho dato vita e voce – musica -? Sì, lo sono!
Si rischia la misantropia a forza di ragionare nel “quasi” vano tentativo di cercare di scoprire la verità. Verità che, essendo altamente soggettiva, non comporta una estenuante quanto inutile ambiziosa competizione per arrivare primi, secondi o terzi. E questo è un bene, perché lascia a ciascuno il tempo necessario per arrivare a metà del proprio cammino avendo elaborato, senza confronti inutili, le proprie teorie, che sono per lo più solo convinzioni personali. Quello che conta è di esserci, è di averci provato, è la consapevolezza di aver fatto il proprio cammino con le proprie gambe, magari con qualche stampella presa in prestito, se serve, ma di essere arrivati a metà del percorso ancora in sella, e con la voglia di arrivare fino in fondo, costi quel che costi.
Cavolo se tutto questo è pertinente col mio lavoro. Questo è la spina dorsale del mio lavoro, fisico e mentale. Cavolo se “Opera 19/1” è provvisto di spina dorsale.
Platone, durante la discussione circa l'immortalità dell'anima attribuisce a Socrate una frase che contraddice le teorie di quest'ultimo, suo maestro: Socrate, infatti, secondo la maggior parte delle fonti, attribuisce al logos la capacità di raggiungere ogni verità; nel dialogo, invece, ammette che la via verso la verità ha dei limiti nel campo dell'immortalità dell'anima, annullando di fatto tutte le sue precedenti concezioni filosofiche: «Quando voi le avrete analizzate a fondo, solo allora, credo, potrete cogliere il problema nei suoi sviluppi, per quanto sia possibile a un uomo; e quando ve ne sarete resi ben conto, non proseguirete più oltre nella vostra ricerca.»
E ora che per l'occasione mi sono rispolverato alcuni testi classici di filosofia, mi rendo conto perché Socrate è stato considerato, a ragione, un martire, il primo martire cristiano, un santo. “Santo Socrate, prega per noi” era solito dire Erasmo da Rotterdam. Considerato dal filosofo austriaco Theodor Gomperz, il “primo martire per la causa della libertà di pensiero e d'investigazione”. Anche l'età dell'Illuminismo ha visto in Socrate un suo precursore: il XVIII secolo fu detto il "secolo socratico", perché in quel periodo egli rappresentò, appunto, l'eroe della tolleranza e della libertà di pensiero.
Raggiungere la verità per mezzo del logos ( ragione e parola ), mio Dio, quanta verità già certificata in questo antico concetto, di cui il mondo moderno sembra aver smarrito il lume.
Anche se il mondo sta andando alla rovescia, sempre dritto va il pensiero che cerca la verità, e quest'ossessione che mi accompagna ( la pertinenza sta in questo ) è preferibile ad un amore passeggero. L'amore passeggero ben venga, a patto che accetti una convivenza a tre, io, tu, e le rose. Io, Mauro Pio Pavan, nato Dossi, in Verona il 21/08/1958, riconosciuto Pavan nel 1963, che già “solo” questo basta e avanza. Tu, Mauro Pastrocchio, pittore un po' “strano” ( così si narra ), abile nel disegno e nella pittura, ma poco abile nel gestire la vita tua, un po' borderline. Le rose, l'amore, l'affetto, la presenza costante di qualcuno che, incondizionatamente, ti ami per come sei, e che ci sia sempre, magari in equilibrio psicofisico, dentro e fuori.
Borderline, misantropo, non so quanto di tutto questo mi si confacente, ma non voglio sottrarmi a nulla, né giustificarmi, perché so bene che, in parte ( mi sono informato ), un po' di uno e dell'altro devo aver preso. Né voglio qui approfondire la cosa, dovrei ritornare per l'ennesima volta a parlare della mia infanzia, del passato, ma credo di averne già parlato abbastanza e di essermi già spiegato fin troppo bene.
Perché queste riflessioni, molto presenti e radicate in me, perché grazie agli insegnamenti ricevuti in collegio e a scuola, grazie all'impegno profuso nello studio, grazie ad una situazione familiare a dir poco disastrosa, grazie alla mia indole di soggetto ipersensibile che tanto è parte in causa del resto che tanto mi è mancato, la mente e il corpo si sono alleati e adattati, trasformandosi e trasformandomi in ciò che sono ora, e di questo, io ringrazio.
Questa riflessione mi aiuta a capire chi sono stato, passaggio fondamentale per capire chi sono oggi, che mi è chiaro. Credetemi, mi è “abbastanza” chiaro.
A questo punto, la pertinenza di quanto fin qui elaborato, col mio lavoro, risulta chiara.
Mi sento più vicino a Omero e a Socrate che a Gesù Cristo e a Padre Pio, da cui ho preso il mio secondo nome. Più vicino a Michelangelo quando scolpisce che a Raffaello quando dipinge. Più vicino alla pittura musicalmente più libera e istintiva, moderna, di Tintoretto, che a quella troppo ben fatta e troppo ben composta e troppo ben piantata per terra di Caravaggio. E' il poco tempo che dedica Tintoretto a fare, sferrando colpi di pennello intriso sempre di passione con i suoi zig zag, che mi intriga, che la leziosità accademica astutamente ridotta a povertà operaia di Caravaggio. L'intelligente e raffinata astuzia del Caravaggio contro la genialità pura e genuina di un pittore determinato a remare contro corrente come il Tintoretto, poco incline al baro e alla sregolatezza.
Sintesi un po' troppo schematica la mia, e di parte, in quanto anche Jacopo seppe dirigere la sua produzione con intelligente astuzia sfornando i suoi moderni “panettoni”, peraltro superlativi, accontentando tutti. Ma la differenza sta nella qualità degli ingredienti. Genuini, puri, autoctoni, lacustri, misteriosi, essenziali, un po' speziati e orientaleggianti, quelli usati da Tintoretto. Di buona maniera, di gusto classico e leziosamente lavorati con perizia e magistralmente incartati, quelli usati da Caravaggio. Il mio amore per la bella composizione, all'interno di una sregolata soluzione, mi spinge verso il Caravaggio, ma il mio istinto primitivo e un po' animalesco, direttamente dal colore, mi suggerisce di non separami mai da Tintoretto. Non mi è mai piaciuto vincere facile, figuriamoci adesso. Eppure a Caravaggio ogni tanto ci penso, perché da lui attingo spunti cromatici, ma poi devo guardare a Tintoretto, per avere le giuste linee guida per un superlativo impianto formale-architettonico. Che c'entra Tintoretto e Caravaggio con ciò che sto facendo ora? C'entra, c'entra, eccome se c'entra! Sono un veronese, un veneto, un tantino lombardo e un tantino trentino, un italiano, un europeo, eccome se c'entra!...
Quando io penso ad una nuova composizione, ad un nuovo impianto portante – strutturale – per un nuovo lavoro, subito vado a pescare dentro la sapienza dei grandi maestri tardo rinascimentali che, per me, rimangono ad insegnamento per tutto quello che è avvenuto dopo, fino ad oggi, compreso Andrea Palladio.
Immaginate un'importante basilica romanica decorata da Wiligelmo, o una chiesa del primo rinascimento, magari firmata da Leon Battista Alberti, immaginatele edificate sopra antiche pavimentazioni musive romane e basamenti paleocristiani, con cappelle interne decorate dai più famosi artisti rinascimentali e barocchi. Statue bellissime e stucchi di pregio che ornano ogni parete e angolo libero al loro interno. Immaginate di vedere tutto il soffitto e la cupola affrescate dai più grandi pittori del '500, fino ad arrivare ai magnifici, non per me, affreschi del Tiepolo. Immaginate che a fianco di questa basilica ci sia un chiostro ricco di tombe con i corpi di sovrani, papi, e famosi condottieri. Immaginate un portale di bronzo con mille formelle forgiate con forza bruta e con amorevole soffio vitale, ingredienti necessari per un ottimo risultato di veridicità espressiva che non ha tempo, e sempre ti parlano perché sempre ci trovi la vita dentro quei fotogrammi di borgata. Sto pensando a San Zeno.
Quello che voglio dire con questo banale discorso, è che io faccio tesoro di tutto, lo mangio, lo mastico e lo digerisco, e se c'è da sputare fuori qualcosa, lo sputo. Poi mi metto al lavoro, cercando, e questo è il bello e anche il “brutto” della storia, di dire sempre qualcosa di mio, che sia solo mio. Se mi rendo conto di esserci riuscito, sinceramente, onestamente, allora ne sono felice per davvero, pienamente. Altrimenti posso essere felice solo a metà, ma l'importante è saper distinguere il bello dal brutto, il buono dal cattivo e, vi piaccia o meno, questo, lo so fare molto bene.
Dentro queste riflessioni si inquadrano, in quest'ultimo filone creativo, gli incipit della mia attuale produzione, con lo scopo unico di condividere con voi che mi leggete, meglio mi piacerebbe dire “seguite”, ma peccherei di presunzione, una maturità acquisita in oltre 60 anni di vita, a cavallo tra il XX e il XXI secolo. Anni piacevolmente e faticosamente dedicati con cocciuta determinazione, alla costante ricerca di risposte sempre più scientifiche e razionali. E, inoltre, con la consapevole e lucida convinzione che, arrivati alla meta e convinti di avere in questo modo chiuso il cerchio, ci si trova catapultati dentro un imprevisto baratro. Perché ogni volta che credi di essere arrivato, ti strofini gli occhi, respiri e prendi fiato, ma poi ti accorgi che sei solo a metà strada. La speranza che questa mia testimonianza possa, per mezzo delle tante riflessioni qui fatte, essere d'aiuto o solo di stimolo a correre di meno e riflettere di più, alle tante anime inquiete che non sanno resistere alla voglia di guardare oltre, di tenere sempre l'occhio e la mente puntati nell'aldilà. Oltre il visibile, ma sempre dentro e per mezzo del visibile. La trascendenza che trasforma il visibile e lo trascende, appunto, in un concetto di non visibile, per mezzo di un bagaglio conoscitivo razionale, ben organizzato, basato sulle conoscenze e le percezioni da essa derivate. Questo ci aiuta a percepire il visibile per mezzo di nuove visioni ridimensionate, ridotte soggettivamente a qualcosa di visionario e fantasioso, ancorché, ma non sempre, stravagante. Tranquilli, in questo caso l'accezione di “visionario” è solo positiva, visto che non fumo e bevo molto poco.
Si parte necessariamente da un'analisi umanistica e accademica del reale, per poi sottoporla, a maturità avvenuta, ad esami di laboratorio e, in seguito, dati alla mano, la si trasforma scientificamente in un prodotto chimico, fisico o matematico, smantellando così l'arcaico e superato insegnamento classico. Spariscono le emozioni e le sensazioni dei sensi primordiali e tradizionali, quelli fisici, corporali, facilmente influenzabili, e nascono così nuove patologie. Si materializzano nuove visioni, nuove emozioni, si moltiplicano i sensi. Il referto delle analisi di laboratorio ci dice che stiamo bene, che siamo sani, e di quello che dicono e pensano gli altri, la massa, ce ne dobbiamo fregare, non conta, non deve contare, non possiamo permettere che conti. Adesso abbiamo la certezza scientifica che tutta la terapia fin qui fatta e che ha comportato tanta pazienza e costanza, e forza di volontà, ci viene certificata come nuova rinascita, come unica via praticabile, per arrivare alla sublimazione, sacrificando per sempre il passato – morte – beneficiando di una nuova vita – risurrezione -. Sia ben chiaro, in tutto questo il ruolo di un qualsivoglia Dio non c'entra minimamente, anzi, è del tutto superfluo, inutile, casomai c'entra la spiritualità che non è la stessa cosa. Almeno così intendo sintetizzarla io, seppur in maniera molto spicciola.
Chiediamoci allora cos'è, la spiritualità? La spiritualità è un percorso lungo, un percorso che fa la mente, più importante o importante tanto quanto il benessere del proprio corpo, dell’educazione, dello status sociale, perché una persona vuota spiritualmente non sa chi è, non sa perché esiste o che ci sta a fare qui, su questa Terra. Mamma mia, che brutta malattia questa.
L’essenza della spiritualità sta nella capacità di una persona di comprendere se stessa, ossia la capacità di trovare le risposte alle famose domande di cui ci siamo già occupati all'inizio del nostro dialogo. Grazie alla spiritualità una persona è in grado di maturare un atteggiamento cosciente e responsabile riguardo a se stesso e gli altri. Una persona senza una vita spirituale è impotente ed esposta ad ogni pericolo, come un animale privato del suo istinto. La vita spirituale è la cabina di comando di comando della vita umana. Se nella vita di una persona prevale il dominio del corpo, si focalizza tutto sulla fisicità e si subordina tutto alla dittatura del corpo. Una persona che si considera solo come corpo non è in grado di pensare in modo razionale, non sa essere e non può considerarsi matura. Essa è schiava del proprio corpo, invece di esserne padrona, guida saggia e suprema. Coltivare la vita spirituale non significa far prevalere lo spirito sul corpo, ma integrare la sfera spirituale a quella fisica. Il corpo senza lo spirito non è cosciente, sensato; lo spirito senza il corpo è a dir poco mostruosamente disumano. La spiritualità comincia quando la persona, ragionando oltre il suo stato fisico, si domanda che senso abbia questa dimensione fisica, che senso abbia la vita stessa. Benvenuti nel bel mezzo del vostro cammino. Qui è obbligatorio fermarsi, sostare per meditare, non più solo per mangiare, dormire e fare selfie. Qui siamo nel bel mezzo della nostra vita e le stupidaggini e tutto quello che è inutile devono sparire dalla nostra vita, per posto alla meditazione spirituale. Chi l'avrebbe ami detto, a stento ci credo, convintamente, ora, lo pratico.
Mettiamo ben in chiaro un concetto, qui, l'unico vero Dio, eventualmente dovessimo parlare di Lui, siamo “Io”. Sono tutti coloro che, per mezzo di questa metamorfosi, non solo fisica, approdano a forme di vita ultraterrena, sublimando contemporaneamente mente e spirito.
Sia ben chiaro:noi siamo i portatori sani o malati di ciò che decidiamo di essere, non è obbligatorio sbattersi per questo, ma sarebbe quantomeno doveroso provarci.
Effimero è tutto ciò che, a pensarci bene, è per ciascuno di noi, inutile. Se vi state ancora chiedendo cosa c'entrano tutti questi discorsi con l'arte, con l'arte astratta, beh, a questo punto, dopo avervi messo nelle condizioni di capire tanto, se non avete ancora capito niente, che posso dire: pazienza, ci riproverò ancora, ma subito, per non perdere il filo logico e mantenere viva la pertinenza con quanto già detto.
L’arte astratta tenta/desidera indagare la realtà attraverso una rappresentazione non mimetica, senza alcun riferimento a oggetti conosciuti, bensì attraverso il ritmo, la ripetizione del tono cromatico, la costruzione geometrica e il modo in cui il colore viene posto “musicalmente” in movimento. L’artista astratto non rappresenta la realtà, ripetiamolo sempre: i soggetti dipinti non sono reali, non esistono in natura. L’artista astratto non cerca i suoi soggetti nel mondo esterno, nel mondo di tutti, ma in una dimensione parallela, molto spesso che proviene dalla parte inconscia-emotiva piuttosto che quella intellettuale-razionale. Nel mio caso specifico tutto si mischia e si confonde, non c'è una volontaria abiura di ciò che è e che è stato, ma una declinazione mia personale di interpretare la realtà, che sento di dover seguire. L’artista astratto non deve dimostrare di “saper fare” ma di “fare e basta”, di saper scrivere una fiaba, una poesia, non di raccontare un fatto di cronaca. L’intenzionalità è quindi una delle chiavi di lettura principali per definire l’astrattismo. L’astrazione più pura è quella che tende a negare completamente la rappresentazione. Il quadro, oddio no, il lavoro, deve esprime un concetto, un’ idea, una sensazione, uno stato d’animo. Attraverso la raffigurazione per forme si arriva alla simmetria e asimmetria, al segno come rappresentazione estrema dello spirito. Attraverso l’astrazione si tende a raggiungere quella “quarta dimensione” utopica, dove tutto è perfetto e dove l’uomo, nuovo, può creare un mondo nuovo. La realtà va quindi negata ( giusto per capirsi ), per raggiungere una nuova oggettivizzazione propositiva e risolutiva. Secondo il filosofo e sociologo tedesco Georg Simmel, considerato il più “contemporaneo dei classici”, le vecchie teorie – Weber - vanno sì riprese, ma vanno in seguito attualizzate. Weber aveva evidenziato il lato soggettivo, costituito da esperienze individuali che si combinano nella vita quotidiana. Simmel afferma che il lato oggettivo e quello soggettivo della società non convivono pacificamente e sono continuamente in contraddizione. Inoltre, afferma che gli individui, interagendo, danno vita a relazioni, che hanno un contenuto (un argomento), e una forma (il modo di condurre l’interazione sociale). Successivamente, le forme delle relazioni iniziano ad essere indipendenti dai contenuti e si oggettivizzano. Ecco fatto signore e signori, vi presento l'arte astratta. Poi non dite che non ho fatto e detto di tutto per avvicinarvi a questo mondo multietnico e multidimensionale, vale a dire globale e perfetto. Noi abbiamo quindi (in un certo senso) due mentalità: la mente del Corpo e la mente dello Spirito. Lo Spirito è una forza, ma resta un mistero. Tutto quello che di esso sappiamo o potremo mai sapere, che esso esiste e che incessantemente lavora e produce risultati per mezzo dei sensi fisici, e molti altri risultati che da tali sensi non possono essere percepiti. Ciò che noi vediamo di un oggetto, di un albero, di un animale o dell’uomo, non è che una parte di esso. Esiste peraltro una forza che, per un certo tempo, tiene uniti gli elementi che compongono queste forme, e questa forza agisce continuamente su di essi. Essa costruisce il fiore fino alla sua completa fioritura; il cessare della sua azione produce ciò che noi chiamiamo decomposizione, a me hanno insegnato la scomposizione. Questa forza trasforma incessantemente la composizione di ciò che noi chiamiamo materia organica, e che domani non saranno più identici a quello che sono oggi, ora, in questo preciso momento. Questa forza in azione perpetua e sempre variabile, che si cela in tutte e sotto tutte le forme e che, in un certo senso, le crea, noi la chiamiamo Spiritualità. Capire questo, significa fare buon uso di quello che potremmo chiamare Mente Spirituale.
La ricerca della verità si è così, in parte almeno, conclusa. Fine! Non posso, in ogni caso, concludere senza citare alcuni scritti dei protagonisti dell’astrattismo che sono una finestra spalancata sull'universo, e io, noi, non vogliamo aggiungere nulla di più a quanto questi grandi protagonisti hanno già detto su questo complesso mondo costruito sull'elaborazione estetico-formale, più propriamente concetto-spirituale.
Malevic: “ In ciò che si chiama natura non c’è nessuna domanda e nessuna risposta. Essa è libera nel suo nulla” e, sempre Malevic: “Nel vasto spazio del riposo cosmico ho raggiunto il mondo bianco dell’assenza di oggetti, manifestazione del nulla svelato”. Manifestazione del nulla svelato, meraviglia, qui dentro c'è davvero tutto!...
L’Astrattismo lirico lascia ampio spazio alla fantasia e all’universo personale dell’artista.
Il termine "lirico" fa riferimento ad un atteggiamento poetico del pittore che trapela anche dai segni e colori stesi sulla tela, suggerito dalla relazione tra l’uomo e le forme (la consapevolezza del saper vedere, a me tanto cara). La meravigliosa liricità delle opere del pittore russo Kandinsky nasce dal legame che melodie o accordi musicali si legano al colore e che, come la musica molto amata dall'artista, produce emozioni e stati d'animo inimmaginabili. Ebbene, caro collega, io la penso esattamente come te. La tela è il pentagramma ed i colori sono le note. Gli intervalli, lo spazio libero (mai vuoto) tra una forma e l'altra, necessari silenzi, pause.
Piet Mondrian è il pittore più rappresentativo dell'astrattismo geometrico. Nel suo lavoro porta alle estreme conseguenze il processo di riduzione e di decomposizione dell'immagine cubista, realizzando un'arte in cui gli elementi strutturali si limitano a linee verticali e orizzontali, ai colori primari; giallo, rosso e blu, al bianco della tela e al nero della griglia di linee. Anche per Mondrian la natura ha agito e influenzato la sua produzione. Impara a guardare con intelligenza tutto, e tutto ti sembrerà diverso e ancora più bello.
Un riferimento molto interessante dell'astrattismo italiano, per quanto mi riguarda, è quello della pittrice siciliana Carla Accardi, che ha fatto del suo astrattismo, non più un'imitazione, seppur estrapolata concettualmente della realtà, ma ha elaborato concettualmente una nuova visione della realtà. Questi non sono discorsi buttati lì a caso e contorti per non dire nulla, come potrebbe sembrare, ma sono punti focali per capire ed entrare all'interno di questo mondo, il mondo reale, e non più solo virtuale, dell'arte astratta. Nel gruppo chiamato, appunto, Gruppo Forma 1, formato oltre all'Accardi anche da Turcato, Dorazio e Sanfilippo, per citarne alcuni, nel loro Manifesto di nobile ispirazione marxista si legge di un uso delle “forme della realtà oggettiva come mezzi per giungere a forme astratte oggettive”. In sintesi, se voglio rappresentare un limone, non rappresento il limone, ma rappresento qualcosa che diventa il limone.
me sembra tutto molto chiaro, ma se avete ancora dei dubbi, non vi resta che chiedere.

TRANSUMANZA: DALLA SCUOLA ALLA STRADA E VICEVERSA - Col permesso del grande poeta John Keats, desidero commentare con doverosa umiltà e rispetto, alcune delle frasi più significative per me, uscite dalla penna inchiostrata di questo grande genio della poesia, che sono semplicemente “parole sante“.

“Le parole più belle son spesso quelle non dette, quelle che naufragano nei silenzi.”
La mia timidezza mi ha sempre impedito, e ancora mi impedisce, di dire quello che penso di buono, di pulito, di sano. Le cose brutte, invece, mi escono spontaneamente da sole, senza alcuna fatica. Vorrei tanto invertire la rotta.
“La vita è un'avventura da vivere, non un problema da risolvere.”
Questo è sicuramente uno dei desideri più nobili che ciascun uomo vorrebbe vedere realizzato.
Peccato che ci sia sempre qualche idiota che si mette di traverso, trasformando una bella avventura in un inferno.

“Non essere scoraggiato dal fallimento. Può essere una esperienza positiva. Il fallimento è, in un certo senso, l’autostrada per il successo, poiché ogni scoperta di ciò che è falso ci conduce a cercare con zelo ciò che è vero, ed ogni nuova esperienza punta ad alcune forme di errore che dobbiamo poi evitare attentamente.”
Nella mia sana ingenuità non ho mai pensato che uno o più fallimenti fossero da considera la tomba della vita. La nonna Maria lo diceva sempre: chi non tocca niente non rompe niente.
Chi non osa, chi non prova, chi non nutre il desiderio di cambiare, di migliorare, pur con lo spettro di un possibile fallimento, pur non dovendo dare spiegazioni a nessuno, né rimproverarsi per questo, non può di certo essere ricordato sui libri di storia.

“Qui giace uno il cui nome è stato scritto sull'acqua.”
Epitaffio scritto da John Keats stesso, inciso sulla sua tomba presso il Cimitero acattolico di Roma. Che frase... con due parole Keats ha pennellato il senso dell'effimero, facendoci capire tanta roba. Questa frase mi fa venire in mente una scena che bene si presta come epilogo di una storia non qualunque. Il genio di un giovane pittore semisconosciuto che, nell'indifferenza di tutti, tanto era avanti e incomprensibile la sua arte, sopraffatto dallo sconforto, decide di prendere tutti i suoi lavori e di gettarli nel fiume. L'acqua scioglie i colori e la corrente si porta via tutto, cancellando per sempre la sua memoria storica e, con essa, la sua poesia, l'anima. Poco importa sapere se quel giovane è poi vissuto o meno, conta sapere come le difficoltà della vita e, soprattutto, l'indifferenza delle persone che ti stanno accanto, hanno distrutto e cancellato per sempre l'anima nobile di un grande artista. In quei colori sciolti nell'acqua c'era dentro tutto, e in quel tutto ci stava il senso vero di ciò che può essere eterno o solo effimero, la vita e l'anima di ciascuno di noi. Ciascuno di noi non vale mai la vita di un grande artista. Lo dico con fermezza e sincera convinzione, quando vi trovate a tu per tu con un grande artista, imparate a stare in silenzio, ascoltate in silenzio e, alla fine, inchinate il capo congedandovi senza voltarvi, come si faceva una volta davanti ai sovrani. Uscite in silenzio dalla porta principale e, una volta usciti, andate per il mondo, dove vi pare, mettendo in pratica tutto ciò che avete imparato. Solo allora potrete parlare, urlare, e insegnare, solo allora ne avrete facoltà, compresa quella di polemizzare.

Un altro bel soggetto che della vita ha fatto e disfatto mille volte facendo ciò che ha voluto davvero fare, è Jack London. Un incontentabile, mai abbastanza appagato di aver visto e conosciuto tutto e, alla fine della sua vita, come capita spesso, quasi ci era riuscito a fare e a vedere tutto ciò che desiderava. Contro tutti, non proprio solo, contro ogni pensiero dominante, inteso come costume della sua epoca. Una vita fatta di alti e bassi, di sogni spezzati ancor prima di vederli realizzati. Una vita fatta di tanta tenacia e amore per la vita. Un pioniere della libertà intesa come vita vissuta autonomamente, senza compromessi, senza usufruire di facili e accomodanti scorciatoie.
Per tanti, Jack London, è da considerarsi un fallito e, in effetti, dei fallimenti ci sono stati nella sua non lunga vita, ma grazie a questi fallimenti la sua vita è stata vissuta appieno e in armonia con i suoi desideri. Figlio adottato, molto ribelle e poco incline alle regole, disposto a fare di tutto e ad aver fatto davvero di tutto. Umiliato, ma mai demolito moralmente nel vedersi rifiutare i suoi molteplici manoscritti giovanili. Un uomo quasi selvaggio che aveva imparato a mangiare e a dormire con i cani e i lupi. Un uomo vissuto toccando con mano la miseria, coltivando la nobile ambizione di diventare famoso.
La vita di Jack London, per alcuni aspetti, si interseca con la mia. Due falliti in vita da giovani, ma poi, lui famoso, e io chissà..., questo me lo racconterete voi.

Sempre London: “Preferirei essere una superba meteora, ogni mio atomo esploso in un magnifico bagliore, piuttosto che un sonnolento e perseverante pianeta”.
Noi oggi diremmo più banalmente: meglio un giorno da leoni che una vita da coglioni. Meno poetico il linguaggio del terzo millennio, ma di sicuro più efficace. Tutto è meno poetico e tutto, oggi giorno, è maledettamente più primitivo.

“La giusta funzione di un uomo è di vivere, non di esistere".
Questa frase sembra che J. London l'abbia scritta pensando a me. Nella mia vita ho combinato di tutto e di più. Per questo, da tanti “poveracci”, sono stato additato come un irresponsabile e un fallito, per i non “poveracci”, più semplicemente, sono riuscito a fare ciò che mi andava di fare.
E' più vera la seconda, senza ombra di dubbio, vero è che avrei potuto commettere meno errori, là dove, se non li avessi commessi, avrei tratto maggiori benefici. La vita vissuta in libertà e autonomia è fatta di tante incognite e di poche certezze.

LA MINESTRA RISCALDATA E' BUONA - Si dice che l'ironia sia il vestito dell'intelligenza, ma l'ironia ha ancora senso oggi se tutti vanno in giro nudi? No, l'ironia oggi non ha più senso perché più nessuno la sa indossare, e i negozi che la vendono sono vuoti, e chiudono.
Oggi va di moda frequentare i mercatini dell'usato, passatempo o necessità? Dipende dalla taglia delle vostra intelligenza.
Io sono cresciuto mangiando minestre riscaldate e cibi scaduti, passatempo o necessità?
Entrambi!
Anche questa volta il dado è tratto, e la strada che ci porterà dritta fino a toccare il cielo, insieme, si fa sempre più in discesa, più facile da percorrere, restando uniti, insieme.