Una sera così


Raccontato dall'autore

Quando qualcuno mi chiede se tengo mai in considerazione l'opinione altrui prima di iniziare un dipinto, o mentre lo sto facendo, senza troppo girarci intorno, dico di no, assolutamente no, mai. Non vivendo all'interno di una qualsivoglia forma di regime, rosso o nero che sia, mi sento libero e svincolato da qualsivoglia forma di sottomissione fisica e psicologica nei confronti di chicchessia. Il pensiero e l'operato di un artista devono essere liberi di esprimersi senza vincoli o limiti. Guai se non fosse così. Quello che pensano gli altri su ciò che faccio, non mi interessa, nel senso che non mi influenza.
Cinismo, spocchia, superbia, esagerata autostima che si può frettolosamente scambiare per arroganza, chiamatela come vi pare, ma non è niente di tutto questo. E' solo libertà e indipendenza da tutto e da tutti, anche da Dio. Libertà di fare ciò che si vuole, ciò che ci si sente di fare. L'arte può supportare e raccontare la storia del suo tempo, l'arte è stata spesso vassalla della storia e di Dio, ma per tutto ciò che ho fatto e farò io, al centro del mio universo non c'è un clero sovrano che ordina, non c'è una storia da raccontare, non c'è un pubblico da accontentare. Al centro del mio universo ci sono io, punto!. Poi, dal centro del mio universo si sviluppano una miriade di strade, più o meno illuminate che portano, ciascuna di esse, ad una meta. La meta è il fine, l'obiettivo, ma anche la fine del viaggio, la fine di tutto, e questa fine si chiama morte. Già con questo siamo entrati nel mondo dell'astrattismo. Spesso queste strade si intersecano tra loro, a volte restano isolate e si dirigono dritte verso il loro obiettivo. Io non resto fermo, immobile al centro, nemmeno se lo volessi, tanto è forte la spinta che ricevo ogni volta che una di queste strade mi passa accanto improvvisamente, sfiorandomi o colpendomi di tanto in tanto.
Io sto, perché sono, al centro del mio universo, ogni tanto mi sposto, a volte per mia volontà, a volte subisco con violenza la volontà da altri imposta.
Pertanto, io non resto mai ai margini della storia, la storia io la vivo, e da essa ne vengo travolto, strattonato e mal trattato perfino, ma io resto in piedi e affronto tutto e tutti dicendo la mia e, che sia ben chiaro, a modo mio! Mentre cammino sulla via della mia storia, e la mia storia poco combacia con la tua, la vostra, o la loro, vengo colpito dalla via sofferenza, poi dalla via difficoltà che, per fortuna, ogni tanto viene intersecata dalla via felicità, che a sua volta viene colpita dalla via sconforto, o dalla via fortuna, spesso chiamata botta di culo. In questo universo esistono davvero una miriade di strade che partendo dal mio buco nero, si sviluppano e si avviano in seguito a formare infinite traiettorie, ciascuna delle quali porta un nome diverso. Non tutte sono belle e buone, e non tutte sono brutte e cattive. L'insieme di questo groviglio fatto di bello e di brutto, di buono e di cattivo, forma il mio universo, la mia storia, la mia vita.
Viene da pensare che gli universi siano tanti quanti gli esseri viventi che li abitano, e per quello che ne sappiano, gli universi sono infiniti. Così è di sicuro!
Io non posso pensare di fare qualcosa per il pubblico (gli altri), facendomi influenzare a priori dalla pubblica opinione, come non posso farmi influenzare dalla storia che mi circonda, perché la storia che mi circonda è vissuta da me diversamente da come è vissuta dagli altri. E si ritorna al punto di partenza, o al buco nero da cui ha avuto origine il tutto. E anche il mio buco è diverso dal tuo o dal suo buco, che non dev'essere per forza nero come il mio. La percezione di un profumo è vissuta da ciascuno di noi in modo completamente differente, figuriamoci quando parliamo di forme e di colori, di sensazioni, di emozioni, di qualcosa che per noi è ben fatto, è bello, insomma, di Arte.
Per un artista che ha deciso di separarsi, di divorziare dalle consuetudini, tutto quello che lo circonda, persone comprese, risulta essere del tutto inutile, indifferente e, se non vi piace inutile e indifferente, ok, va bene, userò l'aggettivo superfluo.
Questa la conditio sine qua non un artista deve stare e operare dentro un mondo tutto suo e di nessun altro. Questa è la maniera per stare dentro il mondo e l'universo dell'arte, della vera e bella arte in generale, e dell'arte astratta in particolare. Dedicarsi all'astrattismo, che significa entrare dentro un mondo ancora nuovo, ancora tutto da esplorare, è come fare un passo nel vuoto, e un passo nel vuoto lo fai o perché sei matto, ubriaco, e non ti stai rendendo conto di quello che stai facendo, oppure, questo salto risulta essere una vera e propria scelta di vita. Con l'astrattismo ti allontani dagli uomini e ti avvicini a Dio, e quando ti avvicini a Dio, ti rendi conto che dialogare con gli uomini diventa davvero inutile e superfluo. Che cosa intendo quando tiro in ballo Dio? Questo lasciamolo perdere perché non l'ho capito nemmeno io, figuriamoci se riesco a spiegarlo e a giustificarlo a voi. Mi state chiedendo troppo adesso, lasciate che ci capisca qualcosa di più anch'io, ma sappiate che si sto provando, che ci sono già dentro fino al collo. Detto questo, io parlo con Dio, mi scontro con Dio, ci litigo e ci faccio pure l'amore con Dio e, a volte, gli do pure ottimi consigli. Ma quello che più di tutto vi stupirà sapere, e sono davvero serissimo, è che Lui, i miei consigli, li ascolta, a volte fin troppo, e questo mi spaventa. E guardate che non sto scherzando, lo ripeto, non sto scherzando. Ebbene, tutto questo mi spaventa, ma allo stesso tempo mi da forza e speranza. Ebbene, tutto questo è astrattismo.
Oggi, mentre sto scrivendo questo, è il 15 gennaio 2020, S. Mauro. E' il giorno del mio onomastico e mia mamma mi chiama sempre per farmi gli auguri, così ha fatto anche questa mattina. Povera donna, ormai si perde e non si rende più conto dell'ora, se sto lavorando, oppure no, ma anche questo va benissimo così.
Mentre sto raccontando di “Una sera così”, sono già alle prese col prossimo lavoro, ancora avvolto in una nebulosa rosata, ma che so già come andrà a finere.
Torniamo a noi, torniamo a raccontare di come è nato questo amplesso notturno. Mi trovavo a frequentare uno dei soliti postacci di periferia dove si cerca e si trova compagnia, mentre il tempo passava invano, perché io lo faccio passare invano apposta spesso e volentieri (patologia da psichiatria allo stato puro e mai risolta), trovavo più affascinante guardare in su che non guardare in giù. In pratica mi sono gustato l'immensità del cielo che ora dopo ora si faceva sempre più notturno, mentre la luna catalizzava magneticamente la mia attenzione, diventando fatalmente il mio punto di fuga. In pratica, la luna veniva attraversata da fasce scure e decise, ben delineate, di nuvole, più simili a delle linee violente e maldestre tracciate a mano e senza righello, che non a da ridicole nuvolette in stile surrealista. Chi mi osserva, in questi casi, in questi luoghi, di sicuro si farà un'opinione assai strana di me, ma questo sì, questo l'ho superato da mo’, imparando a fregarmene. Tutto questo mi fa sentire adulto, e padrone della mia vita. Io registro tutto e capisco quando quel tutto va archiviato e messo da parte, sapendo che poi, da quel tutto, salterà fuori quel poco di necessario per esprimere il mio tutto. Pier Paolo Pasolini in questo è stato un maestro di vita per me, uno di quei pochi, ma veri padri, che ho avuto la fortuna di avere. Nel caso specifico solo come figura indiretta, sempre in bianco e nero, ma davvero molto presente. L'artista diventa un mezzo, un filtro, un radar capace di catturare ogni piccolo segnale e di trasformalo a sua volta, dopo averlo decifrato, in una emozione. Da lì in poi si aprono altre porte, sul tipo di messaggi, di emozioni, di riflessioni che si veicolano, sul tipo di letture che si possono dare. Intendo dire che la finalità di questo percorso fatto qui con voi, per quanto mi riguarda, mi porta ad andare oltre ogni verosimile riferimento personale fin qui raccontato e precisato, perché resta ferma la finalità primaria, quella propedeutica. Il fatto che racconti anche scampoli di vita mia, anche questo è un fattore propedeutico per la conoscenza dell'arte, fosse anche limitato solo alla mia.
A scrivere qui sono io, ma se fosse Tintoretto o Caravaggio, Klee o Fontana, non cambierebbe l'importanza che va data al racconto che fa del proprio lavoro, in prima persona, l'artista. L'ho già detto, il critico d'arte dà una lettura di ciò che vede, l'artista dà una lettura diversa, racconta tutto quello che ha provato mentre creava. Racconta del suo universo, quando questo era ancora embrione nella sua testa, che non è mai pancia, prima che lo stesso si formasse, e nascesse. Vi pare poco? Eppure sempre troppe volte mi ritrovo a ripetere la stessa cosa che, sembra, non voglia entrare nella testa di chi crede di capire tutto, ma non può capire, da solo, una bella minchia. E fin qui è ok, ahimè ci sta, ma l'arroganza di non ammetterlo è così tanta, che mi fa andare il sangue alla testa.
“Una sera così” nasce così, per caso, una sera, quella sera là. Si forma prima l'idea, di notte in questo caso, sempre sul posto, il luogo del delitto se stessimo parlando di un romanzo giallo, poi, sempre sul posto, si consuma il fatto misterioso, e nei giorni a seguire si fissa nella mente, e solo dopo sulla tela. Ecco, alla fine, arriva il colpo mortale. Il colpo mortale che, come un soffio divino, dona la vita a ciò che è, e che prima non era. Chi meglio di me può sapere quanto tempo sono stato col naso all'insù ad osservare questo cielo mezzo terso e mezzo attraversato da fasci di nuvole che tagliavano la luna come un coltello taglia di netto una gola, oddio, meglio una torta. Una torta nuziale è sempre molto bella vista da fuori, tutta ordinata e tutta regolare, scontata e banale perfino, ma quando la si taglia emerge un'altro aspetto di quella torta. Si vedono gli strati ben distinti gli uni dagli altri, si può osservare dal vivo di cosa è fatta, si notano ben distinti i molteplici colori di cui è composta, e poi escono i profumi e poi ancora i sapori. Ma tutte queste cose non erano visibili prima, quando si ammirava solo l'aspetto esteriore della torta. L'esterno della torta, in questo caso, è ciò che, solitamente, vedono i critici d'arte. I santoni dell'arte che mettono insieme tutto senza dire niente e, nei casi migliori, dicendo molto poco di buono e tanto di dozzinale messo insieme lì per lì. La torta in questo caso è il mio cielo, così come madre natura ha fatto e me l'ha presentato quella sera, ma la composizione con gli strati colorati, i profumi, i sapori che si sprigionano, lì ho creati io. Inizialmente era una nuvola a solcare il cielo e a dividere la luna, proprio come madre natura crea, poi è intervenuto Mauro che ha pensato bene di mettersi in mezzo e di battagliare contro la natura, sferrando quel suo colpo di spada che nel lontano 1981, il maestro Luciano Beretta aveva già visto e riconosciuto.
A modo mio, col mio stile, ho intravisto solo alla fine del lavoro, la possibilità di sferrare un colpo di spada tagliando di netto la luna, quella luna là.
Colpi di spada con le matite e le penne biro, da giovane. Colpi di spada con il manico dei pennelli e delle spatole, da adulto. Colpi di spada decisi e taglienti con un dolce pennello, da vecchio, sempre con sofferente passione e una innata armonia. Sofferenza, passione, dolce armonia, tutto quello che non può mai mancare ad un povero cristo come me.
Caro amico e maestro Luciano Beretta, quanto ti ho pensato in questi ultimi anni, quante volte mi sono venuti in mente i tuoi insegnamenti, così artisticamente genuini e maldestri perfino. Così tanto ripetuti da farli entrare nel mio profondo, tanto da formarmi un carattere artistico altrettanto caparbio e risoluto. Ti ho pensato tanto Luciano, anche per tutte quelle volte che, ancora in vita, tu pensavi e ti preoccupavi per me, con affetto e con paterna apprensione, proprio come avrebbe fatto un vero padre. Io, all'epoca, giovane e già maledetto, non capivo ancora bene l'importanza di tutto questo, l'importanza di esserti riconoscente quanto sento di doverlo essere ora. Ancora una volta, caro Luciano, ti chiedo perdono, ne sentivo il bisogno. Ti chiedo perdono anche di non esserti stato vicino nei momenti finali, perché troppo preso da una vita avversa da tenere a bada, da uno smisurato bisogno di guardarmi sempre attorno, alla ricerca di qualcuno cui appoggiarmi e che già avevo, quello eri tu.
Caro Luciano, quello che è stato è stato, ma ora, oggi 21 gennaio 2020, io ti riconosco il ruolo di padre e maestro di vita. La mia vita artistica, con te, grazie a te, è cambiata, o meglio, è decollata. Ora, sto facendo quello che ho sempre voluto fare fin da bambino, quello che tu mi auguravi di fare, il pittore. So bene che anche tu hai fatto in tempo a vedere Mauro diventare “uva matura”, da “uva acerba” quel'era quando mi hai trovato e raccolto per strada, ma ora vorrei farti assaggiare del vino speciale, un vino maturato a lungo e, te lo assicoro io, davvero molto buono.
Non so nemmeno io cosa sia successo di preciso in tutto questo tempo, penso che sia stato il destino a portarmi a seguire i tuoi consigli e a non perdere mai la fiducia in me stesso, perseguendo questo cammino con tanta e ancora tanta grinta e determinazione. Tu, mi dicevi sempre che avevo la stoffa per diventare un bravo artista, io ce l'ho messa tutta e tu, caro papà Luciano, avevi visto giusto. Sono convinto che tu, ora, vedendo quello che faccio, te la riderai e ti starai strofinando le mani alla grande, sapendo che, anche con Mauro, avevi visto giusto.
Tanti sono i ricordi che mi legano a Luciano Beretta, e prometto che piano a piano cercherò di metterli tutti qui, nero su bianco, per onorare la sua memoria, per ringraziarlo all'infinito, e per farmi perdonare. A presto Luciano.
Una sera così, un titolo che mi convince sempre di più e che sempre di più rappresenta la vera essenza di questo lavoro. Un titolo che, come il dipinto, bene si pone in mezzo tra il passato e il contemporaneo. Non ho detto nuovo perché il nuovo è un concetto più che un fatto. Ci sono tantissime cose di una volta, vecchie, che sembrano ancora nuove, e forse manterranno questa caratteristica per sempre. Questo lavoro nasce perché io ho trascorso una serata intera così, come mille altre, ma proprio così, sempre così, da una vita ormai a questa parte, così. Ma quella sera là, nello specifico proprio quella là, io avevo la consapevolezza che da una serata così, una serata in cerca di non so bene cosa nemmeno io, ne avrei tratto lo spunto per fare un lavoro che già nel momento in cui l'ho pensato, questo dipinto era già finito dentro di me. E questo mi bastava. Eccolo qui, da una serata di merda, se volete che sia sincero fino in fondo, perché questo è stato, ed è quasi sempre così (P. P. Pasolini capirà), è nato un dipinto così.
Ancora mi chiedo, se un dipinto definito astratto possa avere dei riferimenti presi dalla realtà che ci circonda, dal nostro vissuto, anche quello più merdoso e, se in questo caso, parlare di astrattismo abbia o meno un senso. Non mi è chiaro del tutto se quello che noi intendiamo per astrazione sia il solo risultato finale di una sapiente messa in scena, furbescamente architettata, oppure l'astrazione debba essere totalmente avulsa da ogni cosa o rimando che ci lega, anche lontanamente, al concetto che abbiamo della realtà stessa. Sembra una questione di poco conto, ma io ci penso spesso e per me, questo sta diventando un cruccio da cui sento di dovermi liberare. Credo, a questo punto, che il miglior modo per liberarmene del tutto sia quello di continuare a lavorare, di continuare a cercare, e approfondire. Di non smettere mai di lavorare tanto, e di non smettere mai di pensare tanto. Di non sedermi mai.
Se bastasse un'astuta e sapiente variante sul tema, messa in campo da un bravo artista per modificare la realtà, allora già Tintoretto si potrebbe definire un artista astratto. Se ciò non bastasse, perché ciò non può bastare, allora entra in scena l'artista più vicino al nostro tempo, che scompone prima, modifica poi, indaga e stravolge quella che chiamiamo realtà, la verità dei fatti. Ma se poi uno prende lo spunto dai campi di tulipani dell'Olanda per giocare con forme e colori primari in equilibrio tra loro, un altro ti sfrutta lo studio degli alberi che crescono e si sviluppano e si diramano secondo regole matematiche. Un altro ancora che dipinge mille gambe su un cane o mette mille ruote ad una bicicletta (cinema, fotografia, progresso industriale, tutto molto reale), fino ad arrivare a quello che brucia la plastica o a quello che ti taglia la tela (intelligente provocazione e ribellione sociale vera, da intellettuale reale), tutto questo è da considerarsi arte astratta, pur essendo astratto il solo risultato finale? Sovvertendo gli addendi ottengo lo stesso risultato anche nell'arte? E' astratta l'arte che intende sovvertire le sole forme, quando le regole e i contenuti, spesso e volentieri, restano uguali a ciò che era già stato deciso e codificato in passato? E' sufficiente questo? Sì, in un certo qual modo sì, lo è. E' da ritenersi concluso definitivamente questo percorso di intendere l'astrattismo nella pittura, nelle forme e nei pochi contenuti che conosciamo? No, non credo proprio!
Se per astratto, in arte, intendiamo la capacità di sottrarre alla realtà la sola sua forma, lasciando intatta la sua natura, la sua anima, beh, questa forma di astrattismo non mi soddisfa, non mi convince, ed è ancora tutta da scoprire e decifrare. Dico questo con la piena consapevolezza che di strada, in questo senso, ne ho ancora tanta anch'io da fare, ci mancherebbe altro... Sciocco è l'artista che si limita a spogliare la realtà come frettoloso espediente, mascherando così la sua incapacità di saper togliere come toglieva Michelangelo, che toglieva solo là, là dove serviva togliere. Si è grandi quando si toglie o si mette sapendo già cosa si vuole trovare dopo. Se togli tanto per, senza capire cosa stai togliendo o se metti tanto per, senza capire cosa stai mettendo, tanto poi alla fine tutto entra nel calderone dell'astrattismo, in questi casi sei solo un povero e inutile farabutto travestito da artista. Il vero artista sa bene quello che vuole, e quello che vuole se lo prende, con ogni mezzo, ma senza barare e senza speculare sull'incapacità altrui di intendere e di volere. E' così che salta fuori il bravo artista, solo così!
Oggi va molto di moda imbrattare le tele, senza arte né parte, ottenendo perfino, e paradossalmente, discreti risultati visivo-emozionali. Questi discreti risultati, in quanto indecifrabili e illeggibili, intraducibili e privi di tutto, trovano strade aperte nel marasma odierno fatto di tanta incompetenza e confusione. In tutto questo gioca un ruolo rilevante la borghesia disperata allo sbaraglio, confusa, ridotta all'osso economicamente e, per questo, disperatamente alla ricerca di denaro. Una borghesia sapientemente preparata per fare business e campare sulla pelle di altrettanti borghesucci, chiamati con troppa disinvoltura, artisti. Gli artisti di oggi si sentono adulati, si riempiono i polmoni di boria che vale di più solo dell'aria inquinata che respirano, parte loro il cervello, e sono pronti a pagare fior di soldi pur di sentirsi chiamare artisti o, peggio ancora, maestri. Che tristezza!
Per quanto mi riguarda, non voglio pormi sopra nessuno, per l'amor di Dio. Per quella che è stata e sarà in futuro la mia esperienza artistica, io intendo l'arte come un percorso, un percorso mai finito, mai portato a termine. Già l'ho detto questo, un percorso fatto di studio e di scuola classica (già superato, per fortuna), e di tante altre esperienze (scuola di strada inclusa e indispensabile), in cui è perfino lecito copiare. Poi, a metà del percorso, in ogni caso e a tutti i costi, bisogna trovare la voglia e la forza di ribellarsi, e di cercare la propria via di fuga. La storia ci insegna che alcuni grandi artisti sono passati direttamente alla fase finale bypassando le precedenti? Vero, ma le eccezioni, per quanto mi riguarda, confermano questa regola, una regola a me tanto cara. Non si diventa Papa senza aver fatto la gavetta, partendo dal seminario, dal prete di periferia o di campagna, per poi diventare vescovo e in seguito cardinale. Non si diventa senatore a vita o Presidente della Repubblica se non hai fatto prima tante cose eccellenti e, guarda caso, di mezzo c'è quasi sempre tanto studio. Studiare non ci fa diventare più intelligenti, ma ci aiuta a diventarlo.
Una sera così, è andato tutto proprio così, senza filtri inutili di cui oggi, alla mia età, non voglio più saperne e, a proposito di questo, ammetto che di strada da fare ne ho ancora tanta. Quello che mi preme di trasmettervi è la forza vulcanica che sento dentro di me, ed è questa forza che mi ribolle dentro che quando esce, non esce in punta di piedi, chiedendo il permesso di farlo, erutta direttamente, all'improvviso, e non c'è niente che la possa tenere a freno. Una sera così, un giorno così, una luce così, una vita così, tutto è così, perché sono io fatto così!